Donna/ Danno. Pensieri, parole e immagini.
di Carina Spurio
Quando si cerca di raffigurare un’immagine interna
con una parola, con la pittura o la poesia, ci si può accorgere, ad opera
realizzata, che la stessa è inadeguata, perché il linguaggio che ambisce ad una
forma, può non essere fedele alle vibrazioni interne. Forse è per questo che
Platone nella “Lettera settima” affermava che in fondo la verità è
inesprimibile, il vero insegnamento non passa attraverso le cose scritte,
quelle che si consumano nell'atto in cui vengono espresse, ma attraverso altre
modalità. Quindi, contempla l’esistenza di un attimo in cui ciò che si è colto
e capito, può non essere comunicabile con gli strumenti che possediamo. Si dice
che le donne parlano, parlano, ma se chiedono, sanno già la risposta. Con quale
altra modalità potremmo dare l’idea di sentire in profondità la verità o la menzogna
in un suono che è una risposta? I rapporti sono assolutamente personali e il
suono viene percepito a seconda della sensibilità di chi lo ascolta. La chiave
di interpretazione, dunque, è all'interno, nell'intuizione di base che guida il
nostro istinto e che può amplificare l’intuito. Ma questo interno, non è spesso
facilmente estrinsecabile nelle varie forme d’arte. Anche se ci si prova
continuamente, né una quadro, né una poesia, potranno dare il senso di ciò che
vuol dire essere una donna. Nessuno, ha mai rappresentato realmente la
necessità di comunicazione di questi esseri affascinanti che sono una forza nel
mettere le parole in fila per intrecciare un senso, a sostituirne alcune per
ingannarne altre e a strozzarsi con quelle che rimangono in gola, quasi per confutare
l'esser portatrici sane di utero. E quindi mutevoli, isteriche, impulsive,
intuitive, agitate dall’ormone-umore e trascinate dal fiume mestruo. La loro
vita non inizia solo l’8 Marzo di ogni anno, quando qualche altra donna decide
per ricorrenza di parlarne, ma inizia ogni giorno. Nessuna di loro, ha mai
detto niente dei chilometri di indumenti stirati o dei chilometri di sillabe intrecciate
a notte fonda. Neanche di quando scrivono con le unghie sui muri dello stomaco
ogni volta che finiscono dentro un amore sbagliato. E della labbra indurite.
Del sonno che non arriva. Degli anni che passano. Dei padri e delle madri. Delle
case senza pavimenti e senza pareti, durante i sogni. Delle notti senza un
cielo. Dei no che sono si. Dei si che sono no. Delle fughe. Dei silenzi. Delle
attese. Dei mi manchi o dei non sei mai andato via. E ogni tanto, parlano da
sole: specialmente se hanno perso quel senso di appartenenza in amore che
chiamano magia. Oppure, quando la voglia di possedere i pensieri dell’altro, aumenta
il desiderio di forzare la porta dell’angolo segreto che abita nella mente. E
mentre alcune credono ancora nei sentimenti, altre hanno perso la voglia di
entrare nella stanza dell’amore per guardarci dentro. In realtà, le donne, solo
una cosa non sanno mai dire con certezza: se hanno più scarpe o più paranoie.
Sanno che non sanno mai cosa mettersi. Sanno che Cupido era femmina, e come
loro, in macchina, metteva la freccia a sinistra per andare a destra. Ma continuano
a comunicare, a parlare del più e del meno, tra i gesti quotidiani veloci e
meccanici, le corse dietro ai figli e le solite amnesie che generano le
seguenti domande: ”Ho spento il gas?”. “Ho comprato il liquido per i piatti?”.
“Dove ho messo le chiavi della macchina?”. Sulla scrivania della donna che sta
scrivendo, immobili, tanti libri di scrittori e Pietro, il protagonista del
primo racconto del libro di Fabio Petrella dal titolo “Dove non arrivano i
sentieri”, Palumbi Edizioni, che “percorre
il sentiero del paese a grandi balzi verso la casa di Clara, l’unica donna nel paese che sapeva come far nascere suo
figlio Vincenzo.” Vincenzo, nasce il 25
febbraio del 1926 a Poggio Umbricchio,
una frazione del Comune di Crognaleto in provincia di Teramo,
poggiato su uno sperone di roccia nel territorio dei Monti della Laga. Emigra in
America in cerca di fortuna per sfuggire alla miseria. Il pastore ritorna nella
sua terra ormai anziano, si parla ancora di esodo come ai suoi tempi, questa
volta non per tentare la fortuna ma per avere la possibilità di un lavoro non
precario ed un esistenza almeno dignitosa. La ciclicità della Storia ritorna; come i
nostri nonni/ genitori parecchi anni fa, oggi tocca alle nuove generazioni
affrontare la migrazione,
indirettamente imposta dalla preoccupante situazione
politica. E poi Giorgio, il nipote di Giovannino che in America era andato da
solo all’età di 18 anni, dopo aver perso il fratello crivellato dalle granate.
Giorgio, il protagonista del primo racconto del nuovo libro di Giuliana
Sanvitale dal titolo “America e altri racconti”, Duende (Gaalad Edizioni snc),
2015, che dall’America arriva in Italia e ritorna al paese del nonno. “L’America era l’America!”, scrive
Giuliana Sanvitale, lo ripetevano tutti,
anche i viandanti che attraversavano il paese e Giovannino comprese che non
aveva scampo, doveva andare.” Dietro ogni partenza di un uomo c’è sempre
una donna, sia mamma, sia moglie, sia compagna, sia amica. Ci
sono grandi emozioni nel tratto che segue i contorni del volto di una donna.
Forse, solo i pittori lo sanno, per questo si ritrovano in un punto dove si
perde lo spazio per le parole che spiegano la divina arte e colorano i seni di
carne, gli sguardi pervinca e le labbra rosse. E “le saboteur tranquille”, tal
Renè Magritte, non a caso, in “Lo stupro”, al posto degli occhi inserisce due
seni, l’ombelico al posto del naso e la bocca al posto dei genitali, il tutto
protetto da morbide curve di biondi capelli. Magritte, trasforma/deforma il viso di una donna in oggetto del
desiderio, un viso/corpo privo della sua individualità, delle sue espressioni e
dei suoi sentimenti. Un volto trasfigurato da usare per il piacere. Questo
quadro, che forse può indignare, colpisce, in quanto contiene una disarmante e
attuale verità: raffigura alla perfezione la violenza che lo sguardo di un uomo
commette quotidianamente al corpo di una donna. “Il volto femminile è trasformato in puro oggetto di desiderio, in un
corpo usa e getta. Parquet dice
infatti che Magritte distrugge
l’evidenza delle evidenze, quelle del volto, con un’evidenza ancora più
evidente, quell’immagine shock e il pensiero che vi è sotteso, la visione
speculativa e la vista della vista sono le componenti chiave dell’opera
magrittiana.” Dallo spazio colorato del pittore
si arriva allo spazio bianco del poeta famoso, che attiva la fantasia per
spiegare l’assenza della donna amata. Per lui, l’amore che si dà e l’amore che
si nega sono motivo di delusione, analogamente dolente e fertile: “Oggi che t’aspettavo/non sei venuta./ E la
tua assenza so quel che mi dice/ e la tua assenza che tumultuava/ nel vuoto che
hai lasciato/ come una stella./ Cardarelli, 1936, p.76, concluderà: “Amore,
amore, come sempre/ vorrei coprirti di fiori e d’insulti./” Il nuovo poeta però
è sempre più in crisi. Il linguaggio è
cambiato. L’amore che teneva per mano i due amanti tra la Gioia e il Dolore nei
versi di Cardarelli, ha nuove espressioni. Oggi, l’amore che si nega è più di
quello che si dà e la privazione crea aforismi decisi, concisi: “Non te la darei neanche se ce l’avessi
doppia.”, si legge su Twitter. Così, il poeta, assiste al lento abdicare
delle parole ufficiali. Insegue nuovi sensi e nuove strutture. Sperimenta nuovi
linguaggi, cancella ogni canone oltrepassando/bypassando la siepe. Cerca di
creare una formula nuova, meno estesa, più attuale. Scarta i metri, dimentica
le rime, litiga con le parole abusate, e mentre le riafferma, le esclude: il tempo, no. Il barlume della notte, no. Le stelle, no. La
rugiada, no. Il cuore, no. L'amore, no. I segreti, no. La canicola, “no e poi
no”. Rimpianti, ricordi, senso di colpa, l'universo, il sole, il fango,
l’oblio, il dolore, lacrime antiche, anima che brama prepotente, labbra di
fuoco, labbra scarlatte, sorriso di miele: a meno che non si abbia a
disposizione una compressa di Plasil contro la nausea, no. Ma il futuro delle
nuove parole è poi così poetico? Nei messaggi privati si leggono nuovi gerghi: “Amore,
hai un tag!” “Dammi la password che entro.” “Ti avevo detto di fare il login!” “Hai pensato all’Hashtag:
#ottimo#vinoveritas#casamia.” “Hai messo
il gatto su Instagram?” “Hai visto la Pic of the week!?” “Tesoro, Retweet o
Re-tweet: MT “modified
tweet”e HT “heard through”.” “Caro, hai un DM.” “Se mi Following.” “Ti Followers.” Tra la scrittura, la pittura e la poesia,
oggi, 8 Marzo 2015, ricordiamo i 124 femminicidi nel 2012, i 177 nel 2013 e una
vittima ogni tre giorni negli ultimi dati statistici. L’orrendo fenomeno non si
placa. Tra donna e donna. Tra amore e paura. Tra
nonne, madri e figlie. Tra mito e necessità: dalle mani di un uomo alle mani di
una donna, il fiore dell’8 Marzo resta la mimosa che nel 1908 cresceva nei pressi della fabbrica bruciata, quando 129 operaie
di un’industria di New York morirono in un incendio, mentre protestavano per le
condizioni di lavoro indegne a cui erano costrette.
.
2 commenti:
"Dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna".
E' sempre un grande piacere leggere ciò che scrivi.
Grazie Bella Stella!
Posta un commento