sabato 24 ottobre 2009

Immaginate la regazza. Giovanni Catalano

Giovanni Catalano

Immaginate la ragazza
Collana a cura di Valentino Ronchi
Lampi di stampa, 2008

di Carina Spurio

La lotta quotidiana non è solo quella con il tempo ma anche quella con le parole che mantengono intatta la purezza del senso quando provengono da un’esperienza comune, sebbene siano inserite nel disagio di vivere tra finito e infinito nel caotico esistere pieno di colorate chimere. Giovanni Catalano nella sua raccolta poetica dal titolo “Immaginate la ragazza”, Lampi di stampa, 2008, conferma che tra poesia e vita non c’è differenza, entrambe, possono coesistere nel momento in cui riflettono l’essere intento a vivere la vita e a scandire il suo ritmo tra mille oggetti sparsi in uno spazio variabile:
<>.
In un piccolo frammento di tempo si trovano sentimenti deliziosi che si rinnovano con incredibile forza all’interno di un secondo che rievoca il suono dell’amore. L’amore è un groviglio ma anche sconvolgimento, caos che da forma alle immagini interiori. <>, come se fossimo strappati da uno stato di quiete collegato con qualcosa che ad un tratto si trasforma e muta con forza imprevedibile, la forza dell’amore. Giovanni Catalano lo conferma e scrive: <>. In poche righe si avverte il bisogno di lacerarsi e di lacerare, accanto al rapimento che colpisce nel profondo dell’anima mentre si è intenti ad inventare il significato dell’altro; verso l’orizzonte, tra nuvole imbronciate, i fantasmi interiori emergono ed hanno un nuovo nome, una nuova essenza. Nella fase della fascinazione si resta incantati da un’unica immagine e il senso di questa affermazione, Giovanni Catalano, lo racchiude in questo passo splendido: <>. In questa chiusa si percepisce quella specie di forza di gravità che come un’immagine allucinatoria si eleva dalla realtà interiore; teneramente abbracciata a quei tratti somatici dai quali non si può sfuggire. Poi, la vita vera, e : <>.
L’incantesimo si frantuma vivendo, si confonde con l’oggetto del desiderio nei gesti quotidiani fino al momento in cui, il giovane autore, con i sensi ancora caldi descrive drammaticamente l’epilogo d’amore: <<>>. Nel pianeta dell’amore ci sono le premesse e le promesse, ma anche un senso di eternità esposto alla caducità del tempo. Tutti sappiamo che la dimensione dell’eterno è sfiorata dall’ombra del destino e che le storie finiscono, sebbene tendiamo a viverle come se durassero per sempre. Giovanni Catalano ne è consapevole fino in fondo e ricorda: <<>>.
Le pagine della silloge scorrono quanto le immagini intrise di emozioni, di attimi in cui, qualcuno si guarda negli occhi per la prima volta in luoghi o situazioni occasionali. E nelle immagini che confinano il pathos dell’amore, cade una pioggia leggera, si posa su lenzuoli invisibili che proteggono amori vissuti o immaginari, i quali, non lasciano traccia ma l’ansia di un attimo diviso in quattro sezioni in una delle quali la ragazza si distrae nei gesti quotidiani e : <<>>.


Giovanni Catalano (Palermo, 1982) vive e lavora a Milano. Questa é la sua opera prima. Immaginate la ragazza, certo, ma non solo. Perché qui si tratta di un piccolo calibrato canzoniere, fitto di amori e di visioni ottenute attraverso lenti deformanti - o formanti, a seconda dei punti di vista. Scene, luoghi e personaggi dall’oggi che si ripresentano in una sorta di eterno ritorno ma anche improvvise sortite nell’infanzia e nell’adolescenza, o anticipazioni di un futuro ancora lontanissimo eppure già profetizzabile. Prefazione di Gianluca Chierici e postfazione di Domenico Cipriano.

venerdì 2 ottobre 2009

Narciso. Carina Spurio

Unheimlich scriveva Freud, il perturbante, ciò che dovrebbe restare nascosto eppure riaffiora. Di fronte al perturbante l’Io ha due scelte: seguire la via della fascinazione che conduce ad una catabasi o tradurre in arte questo surplus che confonde, è presente e vivo eppure sfugge alla comprensione. Carina Spurio sceglie questa seconda via e fa del verso poetico una necessità, una fuga dall’apnea. Plasma il verso e spalma se stessa nella parola, non fugge, mescola e fa proprio quell’eccesso di vivere che non rende vana l’esperienza poetica.
Il canto assume così un sapore materico: la scrittura ha per Carina Spurio un peso corporeo, un pieno approccio sensoriale, che mischia e si fonde nella rilettura, nello straniamento. Ed ecco Lacca di Garanza che non è revisione ma vera e propria creazione a partire dal colore, ecco Il sapore dell’estasi che già attraverso il titolo conduce per le strade di un ossimoro vissuto senza paura di bruciarsi. Perché la scrittura a piene mani di Carina ha tutta la vita delle farfalle di Montale che si avvicinano alla luce pur sapendo di bruciarsi le ali, perché la poesia non ha nulla delle finzioni di “chi crede che la realtà sia quella che si vede”. Non è questa l’esperienza di chi guarda il polipo ( “sei lui, ti credi te” ) ma quella del mare: “essere vasto e diverso e insieme fisso”, che rigetta sulla spiaggia “le inutile macerie del suo abisso”. E’ l’esperienza del contatto con un marasma di sensazioni che ruotano senza sosta, che non prescinde dal valore del ricordo, dell’appropriazione: “ora sì, posso dire che mi appartieni, che qualcosa tra di noi è accaduto, irrevocabilmente”; è l’esigenza di fermarsi per capire, allontanarsi, prendere tempo in questo eccesso. C’è l’amore in queste pagine di Carina Spurio che non è amore semplice ma quello vasto “che brucia la vita e fa volare il tempo” cui la poetessa non si sottrae, nel quale affonda le mani per trovare colore in un barattolo di vernice pieno, amore che non sia solo “la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’ illude” ma anche quello totalizzante che inizia con l’ascolto, la percezione dell’orecchio musicale, infine, la percezione privilegiata che è poesia. Perché “l’amore aiuta a vivere, a durare”, è cecità della ricerca, ingenuità a prescindere, mistificazione per non sapere. Rifiuto alla resa nel volgersi a “ciò che è in noi oppure non esiste”. Carina Spurio gode del valore della Possibilità, conosce il valore dell’attesa perché ha conosciuto l’assenza: in fondo ha vissuto appieno. Siamo ben oltre una scrittura di compiacimento, ogni parola è scavata nell’anima “come in un abisso”, siamo molto vicini alla poesia di Jenny Mastoraki, ad Eliot, a Neruda. Si è vicini all’aprirsi “alle parole d’amore che non ti ho detto”, all’amare anche quando non si ama perché Carina Spurio sa bene che “la fede è una persona”.
Asteria Casadio