lunedì 21 novembre 2011

Schegge di vita Giuliana Sanvitale

Giuliana SanvitaleSchegge di vita
Duende, 2011

intervista di Carina Spurio

D:Il tuo nuovo libro mi arriva in una calda mattina di fine ottobre. Ti ritrovo tra le pagine di “Schegge di vita”. Mi perdo tra le tue pagine, avvolta in un clima di familiarità. Il primo racconto “Mustafà. La guerra dei poveri”, apre la porta dei miei ricordi, fissa l’immagine di un suo omonimo, anch’egli, intento a vendere biancheria sulle spiagge dell’adriatico. All’istante, ti invio un sms. Ti comunico che sono ammaliata dal tuo libro, schiava delle tue prose rapide: leggerti per pochi minuti è stato come incontrare un altro e trovare la porta di sé stessi …
R:Le tue parole mi confermano che l’empatia che mi auguravo di instaurare col lettore si è realizzata. “Mustafà-la guerra dei poveri” ha conquistato tanti. Non è difficile comprenderne il perché. Quest’uomo di straordinaria umanità e dignità rappresenta la nostra coscienza, ci scava dentro convincendoci a leggere in fondo, a riflettere, a ricoprire di nuovo smalto ciò che ci circonda e che non ci appartiene per diritto, ma è un dono.

D:Dentro “Schegge di vita” c’è una dedica: alla sensibile Carina, perché si diverta a riempire qualcuno dei miei “giri di compasso”. Con simpatia e stima Giuliana. Leggo nel foglio allegato che a te piace citare un’espressione del critico letterario Simone Gambacorta, premio Flaiano 2010 per la critica, che definisce il racconto breve “un giro di compasso”. Lo stesso Gambacorta, che ti segue da tempo, lo si ritrova nella premessa del tuo libro, intitolata: “Con altra voce. Una prefazione in forma di lettera” …

R:Con Simone si è instaurato nel tempo un rapporto di stima profonda e di amicizia che non gli impedisce tuttavia di conservare la sua dirittura morale e la sua ben nota professionalità. Ripete spesso che, al di là della mia scrittura, apprezza la mia umanità e il mio rispetto per la Letteratura. Sono lieta di incontrare il suo apprezzamento.

D:Le schegge sono corpi estranei che ti entrano nella pelle. Spesso per la loro esilità ci pungono in maniera superficiale, ma se non vengono rimosse rischiano di infettarci. Quanto è dura una rimozione affidata all’inchiostro?
R:Le mie Schegge sono nate tutte dall’osservazione della realtà e, prima di trasformarsi in parole, hanno subito una lunga macerazione del pensiero. Il dolore o anche solo la commozione arrivano quindi sulla pagina già somatizzate, anche se non prive di emozione.

D:Oggi più che mai è difficile dare l’eternità alla parola, la sua durata sembra infrangersi contro il rumore di una società confusa dalla chiacchiera e cede tra lo scadimento delle sintassi e dei linguaggi approssimativi. Consegnarsi all’altro con una scrittura chiara come la tua è un atto di coraggio?
R:Mettersi in discussione, aprendo agli altri il proprio animo, consegnandosi in toto, senza remore, richiede davvero tanto coraggio. Presuppone una tua pace interiore, una tua sicurezza, che non è presunzione, e deriva sempre dalla consapevolezza della propria sincerità, dalla coscienza di non vendere fumo, di riconoscere il lettore come una persona degna del tuo rispetto.
Quando alla base del tuo lavoro ci sono questi presupposti, quando operi con questi sentimenti, la tua autenticità viene riconosciuta.
Non so onestamente se sperare nell’eternità della Parola; quello che so con sicurezza è che sintassi e linguaggio approssimativo non vanno d’accordo con una buona pagina.


D:Com’è nata questa raccolta di schegge e qual è stato il tema che ha dato il via al libro?
R:I racconti sono stati scritti nell’arco di una decina di anni; molti erano stati premiati ai primi posti e pubblicati in riviste letterarie. Giacevano lì quasi in attesa di non essere dimenticati ed è stato proprio Simone Gambacorta a consigliarmi di pubblicarli.
Sono 33 “giri di compasso”, come asserisce il nostro critico, iniziano con un racconto che parla di un africano e terminano con un racconto che richiama un’idea di Africa. I temi sono vari e, anche se a volte ho adottato una veste fiabesca o poetica per creare quell’alone di magia che ti ha affascinato, le schegge hanno scavato in profondità e ci invitano a “guardare con gli occhi dell’anima”. Forse potrei affermare che, pure in questo caso come avviene generalmente per ogni mio scritto, tutto nasce dal bisogno di trasferire sulla carta il risultato di uno scavo profondo che avviene quasi contemporaneamente in me e attorno me. Non so con precisione se sono le situazioni che mi vengono incontro o se sono io che le afferro per farle mie.

D:Cos’è per te scrivere: catarsi, riflessione, piacere, ribellione, narcisismo o altro?
R:Tutto questo tranne che narcisismo. “Scrivo perché non so fare altro… vivo ormai con occhio narrativo” ha scritto Luce D’Eramo. Per me scrivere è una necessità dell’anima, una ribellione alle avversità della vita, un piacere che sfiora la sensualità ed è senza dubbio catarsi. Per i Greci scrivere era un farmaco, per Goethe veleno e medicina. In uno dei miei racconti “Amore disamore” scrivo: la scrittura come terapia contro la cecità del presente, la parola come catarsi.


D:Scrivi di getto o assecondi delle pause?
R:Da ciò che ho detto in precedenza si evince che per me la scrittura , soprattutto la poesia, è una folgorazione che si traduce in necessità di parola scritta. Quando scrivo, con pause anche di settimane o mesi, tutto però si è costruito nella mente, per cui scrivo come sotto dettatura, senza bisogno di labor limae.

D:A quali tue opere sei particolarmente affezionata e perché?
R:I figli si amano tutti in egual misura. Anche se è scontato, è difficile operare delle scelte. Considero infatti i miei libri figli di carta e come tali cerco di essere “buona” con tutti loro, anche perché, come bravi bambini, si sono comportati bene, arrivando al cuore dei lettori e dei critici e sostenendomi nei momenti bui con la loro presenza. “Angeli” tuttavia è un caso a parte. E’ rabbia, dolore, confessione, pianto, scavo, ricerca d’identità, liberazione, pace, perdono e ancora pianto, sfida, ribellione, ritrovamento, ritorno. “Angeli” è stata la mia conquista più significativa, la mia pagina più bella, quella in cui le parole si cercavano da sole e si ordinavano secondo un disegno tratteggiato dai miei angeli.

D:In che modo si organizza Giuliana madre e moglie durante la stesura di poesie e racconti?
R:Scrivo soltanto quando ho veramente qualcosa da dire o meglio da comunicare. L’arte in genere è qualcosa che si vive in solitudine,ma che poi va comunicata, donata. Quando scrivo, avendo già tutto organizzato mentalmente, sono veloce. Ho quindi tempo per fare la moglie, la madre, la nonna che attualmente è la cosa che più mi prende. Leggo anche molto e dedico parecchio tempo a coltivare il rapporto con familiari ed amici. Senza colloquio, per me, non si va da nessuna parte.

D:Qual è il tuo rapporto con la fede?
R:Oggi è una domanda difficile questa tua. Mi piacerebbe molto poterti rispondere che credo fermamente, ma spesso sono piena di dubbi. Sempre che tu ti riferisca alla fede cristiana, alla fede in Dio. Ad essere onesta, lo sento troppo in alto o io mi sento troppo inadeguata, troppo piccola per l’immensa epifania della fede.
Credo tuttavia nell’Uomo, nella Natura, in Gesù e nel suo insegnamento. Credo nella civiltà dell’arte. Non so se è una contraddizione, ma mi sento ricca di spiritualità.


D:“Angeli”, il libro in cui racconti la storia di tuo padre, un militare morto per rappresaglia, donava una bella immagine di donna che si guarda dentro per colmare il vuoto di un’assenza. Tra molteplici temi incorniciati (a volte) dalla poesia, ritorni con “Schegge di vita” e affronti: l’adozione, il razzismo, l’emigrazione, la memoria, l’amore, il sociale e il dolore. Cosa ci riserverà in futuro la tua penna?
R:Ho molto lavoro pronto per essere editato: un romanzo e un centinaio di poesie da organizzare penso in due temi che semplicisticamente potrei definire Io e le parole e Io e il mare..
Penso che a breve uscirà il romanzo “Rosa” che ha ceduto il passo ad Angeli per un’esigenza etica.

D:Quale libro stai leggendo?
R:Leggo decisamente tanto, più di quanto scrivo. Spesso sono saggi o comunque libri di letteratura da cui impari sempre. Li intervallo con libri più lievi, ma non meno belli, come “Il peso della farfalla “ e “I pesci non chiudono gli occhi”di Erri De Luca, “Emmaus” e “Mr Gwyn” di Alessandro Baricco. Da poco ho letto “La sottomissione delle parole” di Gianrico Carofiglio e ho pronto il suo ultimo “Il silenzio dell’Onda”. Leggo pure molta poesia e non solo poeti italiani. Torno spesso - la poesia va riletta sino all’esasperazione finchè la sua musica non ti penetra – “Poesia dal silenzio” di Tomas Transtromer. Tra un libro e l’altro porto avanti la lettura di “Alfabeto” di Claudio Magris, una serie di saggi sulla Letteratura che mi appassiona ed arricchisce oltremodo.

D:Qual è il tuo rapporto con l’Abruzzo?
R:Sono nata a Giulianova per caso, unica della mia famiglia, da padre ortonese e madre piemontese ma di origine umbra. Ho studiato in collegio in Romagna e poi a Urbino perciò ho avuto poco tempo e scarsi appigli per sentirmi abruzzese. Col trascorrere degli anni, precisamente da quando ho iniziato le ricerche sulla mia famiglia, ho scoperto parenti abruzzesi ed ho cominciato ad amare questa terra e a recepire che essa era anche altro oltre Giulianova. La mia cittadina l’amavo di diritto, mi sentivo legata da un patto di sangue. Il resto era una delle regioni d’Italia. Poi è avvenuto l’incontro ed ora ne sto scoprendo anche la lingua, oltre alle usanze. In casa mia non si è mai parlato il dialetto , ora lo sto scoprendo e trovo che sia quanto mai calzante e spesso mi scopro ad appuntare qualche espressione, qualche termine particolare.
Anche in questa mia conquista sto operando un “ritorno”, mi sto riappropriando di qualcosa che era mio e di cui io ero parte.
Inutile aggiungere che la scrittura è un “laccio d’amore” indissolubile.


Giuliana Sanvitale, nata a Giulianova il 6 dicembre 1938, laureata in Lettere presso l’Università di Urbino con una tesi su Salvatore Di Giacomo e la poesia napoletana, sotto il rettorato del Magnifico Rettore Carlo Bo, ha insegnato per un quarantennio presso vari tipi di scuole. Si è cimentata nella stesura di recensioni e relazioni, ha tenuto brevi conferenze e curato laboratori di poesia nelle scuole e corsi di aggiornamento sull’Ermeneutica. Un suo adattamento dell’Epistolario di Leopardi è agli atti presso il Centro Nazionale di Studi Leopardiano di Recanati.Ha vinto, a livello nazionale ed internazionale, diciassette primi premi, sia per la poesia che per la narrativa, numerosi secondi e terzi premi, medaglie d’oro, d’argento, medaglia del Presidente della Repubblica, premi speciali della giuria. Ha preso parte a convegni sulla Poesia (Università Montaliana), presso la Camera dei Deputati, letture pubbliche del suo libro ed è spesso citata e intervistata su riviste culturali ed antologie. Ricordiamo le interviste di Simone Gambacorta su “La città”, di Walter De Bernardinis in “Scrittori Abruzzesi”, di Adriana Paola Di Giulio per “Notizie Donne.”Ha pubblicato le sillogi: E le donne…, premio D’Annunzio 2002; Acquaria, Premio Poesia e Rete di Trapani, Premio Recchiuti di Teramo 2006; Frammenti e Aforismi, 1° Premio Como. Nel 2004 ha editato il romanzo autobiografico I cibi della memoria, finalista a Massa Carrara e a Basilea, nel novembre 2009 ha editato presso la casa editrice Ricerche e Rdazioni il romanzo Angeli ha vinto ex equo il 1° premio internazionale poetico-musicale di Basilea.Di prossima stampa il romanzo: Rosa.Treno in corsa Treno in sosta, pubblicato da Andromeda Editrice 2008, è il titolo del libro di poesie che ha fatto vincere all’autrice il 1° Premio Internazionale “Gino Recchiuti”, Teramo 2009.Dal 2004 insegna presso l’Università della terza età e del tempo libero di Giulianova. Nel maggio 2007 ha vinto il “Premio Donna Città di Teramo”, per la letteratura e la poesia ed è stata definita: “… una delle più interessanti espressioni della cultura contemporanea abruzzese…”. A gennaio 2008 ha vinto il 1° premio al concorso letterario “Racconti delle donne abruzzesi” alla Regione, col racconto L’assenza. Nel luglio 2008 ancora un primo premio di poesia a Torano 2008 un secondo premio per il racconto a Garrufo. È inserita nell’antologia “Medialibro del’Albo degli Scrittori” e fa parte dei Poetionline. Ha ricevuto inoltre la nomina di Socio Onorario dell’Associazione degli Scrittori Italiani.La sua poesia è stata definita dal prof. Trequattrini: “di grande tensione lirica… la macerazione stilistica e la lavorazione delle immagini sono tali che uscendo da una dimensione privata, si rivolgono ad un pubblico assai vasto…”.

giovedì 17 novembre 2011

Il canto del cigno rosso di Federica Ferretti


Federica Ferretti

Il canto del cigno rosso

Rupe Mutevole, 2011


Intervista di Carina Spurio


“Il canto del cigno rosso” è la sua prima opera poetica, contiene 28 liriche: “un inno all’Amore impossibile, ovvero, quello che quotidianamente ci solletica gli occhi ed il cuore.” (dalla premessa) …
Risp: Questo, è un romanzo epistolare, in realtà, in cui un giovane donna si racconta attraverso un diario intimo “speciale” … in cui cioè ognuna di noi può di certo rispecchiarsi, specie nella folle disperazione che si prova ad un certo punto, nello smarrire il contatto vivo, umano, con il destinatario del proprio sentire, il depositario di ciascuna emozione, negativa e positiva al contempo, rigenerante e distuttiva …


Da dove nasce l’idea del titolo?
Risp: Ho una cultura classica a cui mi ispiro sempre nei momenti creativi, in questo caso, però,ho voluto reinterpretare un mito platonico, colorando di Rosso il cigno morente … il suo canto allora, diviene particolarmente armonioso: lancia un grido di speranza, si rialza e guarisce infine le sue ferite, per quanto profonde.



Il delicato color glicine della copertina è lo sfondo in cui si staglia una “Ragazza al piano” da lei realizzata. All’interno dell’intera raccolta poetica si possono ammirare altri suoi lavori che ripropongono l’antico e affascinante legame tra grafica e versi …
Risp: Le immagini hanno il loro peso, rivestono un loro preciso ruolo , hanno infatti tutta la forza di narrare ciò che Elisa non riesce ad esprimere. Sono disegni a matita e/o carboncino,fragili, nonostante la mano di “fissatore” che li dovrebbe fermare per sempre sulla carta … ne consegue l’immediato parallelismo con la gracilità della memoria, dei ricordi … La musicalità della prosa sciolta, completa quello che ho voluto considerare una sorta di contenitore linguistico, dove hanno quindi preso corpo le mie varie propensioni artistiche.



Nelle premessa, lei anticipa le intenzioni di Elisa, una giovane donna che si racconta “dentro una serie di lettere scritte a posteriori e riassapora ciò che è stato e ciò che non potrà più essere” e su questo filo tra prosa e poesia, ci dona le riflessioni di una donna …
Risp: È una donna dall’animo sensibile che è catapultata dentro una serie di eventi forse più grandi di lei … riesce a filtrarli attraverso la scrittura, ogni singola parola è il risultato di un processo metabolico che risulterà la chiave di volta per … rincominciare. Il messaggio è forte e chiaro, un monito a riconquistare fiducia ed autostima, dopo ogni volta, per quanto ci possa sembrare impossibile.



Tra queste pagine la poesia racconto affinché: “trovare la forza per ripartire./ Per quanto tutto possa essere dolorosissimo./Lasciarsi ogni speranza alle spalle,/ ogni sentimento più o meno positivo./ Arrivare.”/… da “Rifare fagotto”…
Risp: Non emerge soltanto una mia vena ottimistica, mi appello ad ognuna di quelle donne che la vita ha voluto sottoporre ad una prova, e bisogna fare i conti con le forze rimaste … Possiamo salvarci semplicemente da sole: l’amore per noi stesse non si acquista al supermarket dietro l’angolo …
Elisa, è ognuna di noi, la proiezione del nostro Ego, un personaggio che può e deve riprendersi la sua consistenza nella vita quotidiana.

Nella (ormai) proclamata crisi del versare resistono i nuovi poeti che attivando il carnale interno fonatorio, diffondono (malgrado tutto) il suono di versi che appartengono ad un’arte spesso associata alla dissoluzione schizofrenica …
Risp: … In effetti, non si può negare che la storia di Elisa viene proclamata tra lucidità e follia … è vero, scrivere, al giorno d’oggi, è un enorme atto di coraggio … descrivere al mondo che si crede ormai disincantato, la bellezza dell’incanto di un sentimento così totalizzante quale quello amoroso, è manifestare agli altri la presa di coscienza che si è ancora vivi … in questo senso, anch’io sono “folle d’amore”… “sono folle, folle, folle d'amore per te . Io gemo di tenerezza perché sono folle, folle, folle perché ti ho perduto” …

Come è iniziata la sua avventura nel mondo della poesia?
Risp: Ho sempre amato scrivere, sin da bambina, sentivo che la scrittura era una delle mie aspirazioni … fino a che, al Liceo, era l’inizio dell’anno scolastico, una giovane supplente mi sgridò per l’eccessiva libertà espressiva … mi disse che, mi avrebbe dovuto imbrigliare … è stato in quel momento che mi sono completamente ribellata alle convenzioni … ed eccomi qua … forse, la dovrei ringraziare.


Cosa ha voluto comunicare ai lettori de “Il canto del cigno rosso”?
Risp:La libertà di espressione … il cigno è rosso perché si è sporcato del suo stesso sangue … eppure, torna a volare, non muore a sua volta …



Quali sono i poeti che ha amato di più?
…G.G. Marquesz, Isabel Allende, Pirandello, il Baricco di Seta, non altro, … e …, naturalmente, Alda.


Cosa legge una poetessa?
Risp:Legge il suo cuore … decodifica quotidianamente le proprie emozioni per rivolgerle al Mondo … legge gli occhi del Mondo, per intercettarne sentimenti e angosce, ma anche la dolcezza della gioia … traducendo il tutto nei suoi versi.


Cosa ne pensa degli e-book e delle vie alternative che sfuggono ai meccanismi complessi dell’editoria?
Risp: è una tecnologia che non mi affascina … penso che sia dispersiva, forse anche inutile … tengo una pila incredibile di libri affianco al letto, ne scelgo ogni sera uno diverso, perché le sue parole mi confortino nel sonno.



Qual è il suo rapporto con Internet …
Risp: Attualmente ricopro il ruolo di direttore editoriale per la Rupe Mutevole Edizioni che ringrazio … tra le mie collane, c’è n’è una intitolata, guarda il caso,ECHI DA INTERNET … ho avuto modo di lasciarmi avvincere da un’esperienza irripetibile, il contatto con migliaia di voci colorate (tra cui echi abruzzesi) che ogni giorno ci lambiscono, è quanto di più gratificante possa accadere … grazie a questo, sono molto cresciuta dal punto di vista emotivo … ho potuto migliorare … e, a mia volta, garantire il massimo del mio supporto ai/lle miei/e autori/trici, che ogni giorno mi propongono le loro idee sempre più esilaranti … in realtà , però il mediun virtuale mi ha concesso di conoscere anche colleghi /e abruzzesi dall’inusuale talento letterario …è nata quindi un’ulteriore collana, Radici, la letteratura Abruzzese… il blog ad essa dedicato ha ricevuto già svariati riconoscimenti … Posso dire con orgoglio che Internet è stato un valido collante soprattutto della nostra meravigliosa cultura regionale … ho sempre creduto molto in quest’idea,… che mi sta premiando … e se vi dicessi che sto cercando nella rete anche fiabe … moderne e metropolitane?


Cosa sono per lei il coraggio e la paura?
Risp: Il coraggio di esistere; la paura di essere, esprimersi per ciò che si è e non ciò che vorrebbero farci apparire … la nostra è la società della fragilità emotiva … ecco, bisogna avere il coraggio ed affrontare la paura di mettersi in gioco.


Una domanda in versi famosi: Il passato e’ un laccio che /stringe la gola alla mia mente/e toglie energie per affrontare il mio presente. / (Alda Merini).
Cos’è per lei il passato?
Risp:…è ciò che siamo stati, e che forse, continueremo ad essere … un filo invisibile che ci lega al futuro in maniera inesorabile … anche in questo caso, bisogna maturare il coraggio di affrontarlo … per riuscire a vivere senza rimpianti.


Teramo. Qual è il suo rapporto con la città che l’ha vista nascere?
Risp:Ci continuo a “vivere”, in un modo o nell’altro … e non posso proprio farne a meno … e Lei mi ricambia … offrendomi sempre un’ ulteriore possibilità un grazie a tutte le istituzioni che mi hanno ospitata sui loro siti, e sedi fisiche, a partire dalla nostra Provincia( Biblioteca M.Delfico e Agenzia Giovani, dove mi hanno presentata rispettivamente la docente universitaria D.ssa F. Ricci e d Il M° S. Melarangelo)…la stessa università, (sono stata ospite di Radio Frequenza, invitata da Monica Ferrante ad inizio Novembre, tenuta di nuovo a battesimo dalla Prof. F.Ricci). Amo molto questa piccola città abruzzese, a cui sento di assomigliare … non solo nell’accento, ma nella cura del proprio mondo affettivo, “noi” teramani non tradiamo facilmente le nostre tradizioni.



Lei è laureata in Discipline Musicali, settore pianoforte e in Scienze Politiche, ha sviluppato studi nelle varie sfere della socialità e ricerche approfondite sulla contaminazione fra il linguaggio musicale, grafico pittorico e ludico-cinematografico …
Risp: Sono infinitamente curiosa … amo spostare i linguaggi di posto … assegnare loro un nuovo ruolo, rivisitando il vecchio … la mia voce è colorata.



“Il canto del cigno rosso” si conclude con la seguente frase tratta dall’omonima lirica da cui prende il nome tutta la raccolta: “Ma è la vita, ciò per cui vivere. Sintetizzando il moto incessante che malgrado tutto si deve compiere …
Risp:Io credo invece che non siamo affatto costretti a vivere .Disponiamo di un libero arbitrio, potremmo quindi far cessare la nostra esistenza in qualsiasi momento … se continuiamo … è perché è la vita stessa ciò per cui vivere … dopo ogni dolore, ogni torpore … non c’è niente di meglio che risvegliarsi alla spontaneità degli accadimenti … costi quel che costi.



A fine intervista dedicherebbe alcuni suoi versi ai nostri lettori?
Risp:
Lasciami sognare
il sapore di un tuo nuovo bacio,
mentre ti ammanto
di capelli d’ebano
il viso ed il petto,
ti guardo negli occhi
per scandagliare
la profondità
del tuo amore,
per me,
angelo senza ali,
mani senza tatto,
corpo senza anima,
fino al tuo prossimo abbraccio.


Federica Ferretti, nasce a Teramo, 34 anni fa: è laureata in Scienze Politiche e Discipline Musicali, ama la contaminazione tra i linguaggi, per scoprire le mille sfaccettature della vita. Direttore Editoriale di Echi da Internet, Fairie, il Mondo dell’Incanto e della nuova collana Radici, la letteratura Abruzzese, presso la medesima Rupe Mutevole, promuove una letteratura del tutto spontanea, viva, dinamica, specchio della cultura multimediale sempre più diffusa, per dare inizio ad una nuova era letteraria che però vuole conservare intatto il suo legame con i propri miti e Radici Culturali.

lunedì 17 ottobre 2011

Cronaca di una farfalla in lutto di Beniamino Biondi

Beniamino Biondi

Cronaca di una farfalla in lutto

Scritti sul Nuovo Cinema Giapponese
Evoè Edizioni, 2011


Intervista di Carina Spurio


“Cronaca di una farfalla in lutto” è il titolo del suo ultimo libro che raccoglie scritti sul Nuovo Cinema Giapponese. Da dove nasce l’idea del titolo?

In realtà Cronaca di una farfalla in lutto è il titolo di un breve film sperimentale di Shuji Terayama, un autore di cui mi sono occupato nel mio ultimo libro (Giappone Underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70, ndr). Ma al di là del suo riferimento concreto, questo titolo ha assunto un valore simbolico in quanto ho tentato di fare la cronaca di un cinema in lutto. La farfalla, anche in riferimento all’effetto farfalla, che non è altro che una parte della Teoria del Caos per cui anche il battito d’ali di un piccolo insetto può provocare disastri anche dall’altra parte del pianeta, si confonde e si maschera col cinema. Un cinema d’urto, atroce e radicale, il cinema giapponese degli anni ’60, che oggi contempla il lutto della sua fine, la sua memoria che non ha saputo resistere al consumo, la sua sostanziale marginalità in un universo che ha fagocitato il senso della differenza.

Il Nuovo Cinema Giapponese sembra iniziare dagli anni ’50, dopo la pubblicazione dei romanzi di Ishihara Shintaro (Scrittore e politico giapponese), parte dei quali, vengono adattati per il grande schermo e nei quali, si visualizza una gioventù inedita, spregiudicata. ..

Esatto. Siamo negli anni di Gioventù Bruciata di Nick Ray e de Il Selvaggio di Benedek, insomma gli anni ’50, e come per miracolo il cinema giapponese racconta quello stesso malessere, in qualche caso addirittura lo precorre, pur entro termini assai differenti, generando un fenomeno di costume e la riprovazione sociale di un intero paese che crolla sotto i miti della sua stessa grandezza imperiale. Non è secondario, poi, che tutto questo accada per il tramite della letteratura; nel romanzo, del resto, la contaminazione fra tradizione e modernità si attesta ai primi del ‘900 con l’opera di Ryunosuke Akutagawa e prosegue con risultati inquietanti per tutto il dopoguerra.

Nel suo libro, sia nella premessa che nella quarta di copertina si legge: “Il libro è composto da uno sguardo critico su una serie di autori che, ognuno a modo loro e col proprio percorso, hanno contribuito ad affermare una sostanziale politica della creazione artistica nel segno del culto della forma.” …

Come chiarisco nel breve testo cui Lei si riferisce, il libro non è un’analisi organica e storicizzata del fenomeno del Nuovo Cinema degli anni 50’ e ’60, ma piuttosto una raccolta di profili critici di alcuni autori che mi hanno interessato e che, in una visione retrospettiva e d’insieme, costituiscono il corpo fondamentale di una rivoluzione linguistica che ha agito organizzando in maniera non convenzionale il rapporto fra le immagini al cinema. Il Giappone come impero dei segni, per impiegare un’acuta ma non del tutto corretta definizione di Roland Barthes, a mio parere rileva quell’attitudine iconica della cultura orientale che nel cinema ha trovato una sua definizione ossessivamente geometrica – pure laddove si tratta di dare ordine al caos – che chiamo culto della forma. Il punto di non ritorno della forma finisce con l’essere il suo contenuto autentico, la sua sublimazione. Un regista come Yoshishige Yoshida, di cui mi sono occupato in un altro mio volume (Eros + Massacro. Il cinema di Yoshishige Yoshida, prossima uscita, ndr), ha radicalizzato sino al limite questa esperienza segnica convertendola in una sua complessa poetica di opposizione tra rarefazione e rigore materico.

Il primo dei 15 autori da lei tratteggiati è Ko Nakahira (1926-1978) colui che cambia completamente le caratteristiche del cinema tradizionale. Nelle sue pellicole scorrono i conflitti psicologici, l’irrazionalismo omicida, le paranoie, quasi e sicuramente, con l’intento di generare scompenso nello spettatore, abituato ai languori edulcorati dei vecchi film, persuasivi certo, ma ancorati ad una logica ormai sorpassata …

Il cinema di Ko Nakahira ha oggi un valore meramente filologico in quanto a lui si deve il primo film che inaugura la nuova stagione del cinema giapponese del dopoguerra. Un film senza precedenti, lodato da quei giovani critici che poi sarebbero diventati i maestri della nouvelle vague nipponica, fra tutti Nagisa Oshima, e che purtroppo rimarrà un episodio isolato nella parabola complessivamente anonima del suo autore. Ma per un felice paradosso, il valore filologico assurge a valore simbolico poiché quel film condensa e comprende temi e sviluppi che apparterranno alla generazione successiva dei cineasti d’autore. Anche nel rapporto col cinema americano,l’opera di Ko Nakahira si segnala per un’interpretazione assai differente del fenomeno del cinico ribellismo della gioventù non facendone un semplice atteggiamento esistenziale, che tutto sommato fa salva la società e le sue norme acquisiste, ma cogliendo la concatenazione d’effetto tra il dato politico e il dato comportamentale, dunque anticipando di molto i discorsi sul condizionamento sociale e sulla relazione fra storia e identità personale. Il Giappone, del resto, ha scontato il fortissimo trauma della bomba atomica, dunque ha vissuto nell’angoscia dolorosissima dell’estinzione di massa, del progetto di un nulla ontologico.

Sulla scena cinematografica esplode la meteora giovanile preda di una nuova esigenza in contrapposizione con scene caratterizzate da forti drammi sociali come per forzare la mano verso un’interpretazione virata all’eccesso della società, rappresentando la primordiale pulsione di violenza nell’animo umano e l’imporsi costante e crudele del mondo adulto nei confronti dell’anarchico orizzonte adolescenziale fino al cambio di paradigma degli anni ‘80 …

La rappresentazione di un Giappone arcaico ha ceduto il posto all’immagine di un paese nervoso, irrisolto, dimidiato fra tendenze contrapposte; un’immagine che il nuovo cinema ha veicolato in modo sublime e trasgressivo. Tuttavia, il fondamentale ritualismo di quella cultura non viene affatto alienato dai nuovi cineasti ma viene risemantizzato quale condizione di una nuova sensibilità che lo adopera come strumento di una visione del mondo pessimistica ed essenzialmente fondata sulla rappresentazione del quotidiano come labirinto di riti che nascondono la cieca violenza dell’istinto e dello spirito primordiale arcaico.

Nel 1956 Susumu Hani e il suo rapporto con il mondo dell’infanzia …

Susumu Hani è uno dei cineasti più interessanti nel panorama del rinnovamento degli anni ’60. Come ha sostenuto il critico Donald Richie, Hani è il più nuovo cinema di tutti. L’unico autore davvero indipendente nel sistema della major nipponiche, l’unico ad avere esplorato territori inconsueti e sotto il profilo esistenziale (l’infanzia) e sotto il profilo geografica (l’Africa, l’America Latina, la Sardegna). Hani è forse il maggiore documentarista del Giappone, o quantomeno il primo ad avere coniugato senso artistico e rigore di documentazione umana. In Italia, se volessimo trovare un cineasta simile dovremmo pensare al siciliano Vittorio De Seta. A Susumu Hani si deve, poi, un bellissimo e controverso film sull’adolescenza che è un capolavoro di stile e di analisi sociale; mi riferisco a Primo amore, versione infernale (1968), su una sceneggiatura di Shuji Terayama, opera che irrompe con prepotente genialità nel ’68 giapponese usando il sesso come metafora politica e facendo frutto dell’esperienza del documentario e del genere del pinku eiga.

Qual è uno dei 15 cineasti ai quale si sente particolarmente attratto?

Direi proprio Susumu Hani o Hiroshi Teshigahara, famoso in Occidente anche per il suo La donna di sabbia (1964) che vinse un premio a Cannes. Ma il mio autore, nel libro, è Akio Jissoji, cineasta sconosciuto che quasi nessuno ha voluto includere tra i maestri del nuovo cinema a causa di una carriera altalenante che lo ha visto autore di un serissimo cinema di pensiero e insieme di opere minori e biecamente commerciali. Eppure i suoi primi film, provocatori nel contenuto e inquietanti nella loro sperimentazione stilistica, sono tra le cose più interessanti del cinema giapponese, soprattutto in riferimento a Mujo (1970) che si ispira manifestamente al principio buddista dell’impermanenza, un concetto che fonda e sostiene l’estetica giapponese e di fatto tutto il suo cinema.

Cosa ha voluto comunicare ai suoi lettori attraverso “l’interpretazione radicale dell’immagine come luogo del visibile”?

Parlando di immagine come luogo del visibile si attesta una verità di natura fotografica cui sfuggono le componenti metonimiche del cinema come arte. Sulla necessità del luogo del visibile, l’interpretazione radicale del nuovo cinema equivale ad un rovesciamento dello statuto filologico di quella sua stessa necessità, dunque ad un’attitudine al simbolico, all’occulto, al metaverbale e al metafotografico.

Le immagini contengono il potere di conservare se stesse nel futuro bloccando la realtà …

Le immagini non contengono altro che la loro assenza di vita, in quanto non sono che sempre immagini di qualcosa che è già accaduto, trascorso, passato. Il cinema non è altro che un processo di conservazione della morte.

Lei è poeta e saggista, contemporaneamente, si occupa di teatro e cinema: come nasce la sua passione per il Nuovo Cinema Giapponese?

Credo si tratti semplicemente di affinità elettive. Ad ogni modo, volendo tentare un’anamnesi culturale, il mio primo interesse verso il Giappone sorge per effetto dell’amore verso gli scrittori di quel lontano paese. Akutagawa, soprattutto, poi Abe e Mishima (autori in qualche modo tutti legati al cinema, nel caso di Abe addirittura in maniera organica). Da lì un approfondimento verso la narrativa meno nota in Occidente, l’attrazione per lo Shintoismo e il Buddismo (come filosofie morali e non come pratica quotidiana, come accade emulativamente e in modo improprio), e l’attitudine primigenia verso un cinema formalista e trasgressivamente rigoroso – dunque ossimorico - com’è appunto quello del Giappone.

Che rapporto ha con il Cinema Italiano?

Un rapporto intenso, soprattutto per autori come Pasolini e Antonioni, per fare due nomi. Col cinema attuale il rapporto è invece assai distante e ai limiti dell’indifferenza.

Un regista a cui si ispira?

Citarle un solo nome equivarrebbe a far troppo grave torto ai non citati, tuttavia mi viene fatto di dirle che molto autori hanno pesato, e molto, nel mio percorso: Rainer Werner Fassbinder, Ingmar Bergman - che ho personalmente conosciuto in Svezia – Glauber Rocha, Russ Meyer, Jean-Marie Straub, Carlos Saura, Jerzy Skolimowski, Koji Wakamatsu, e alcuni altri.

Il Cinema è un lavoro molto duro che non tutti sono in grado di fare …

Oramai, per la maggior parte, il cinema è un cinema di consumo destinato non ad un pubblico di individui critici e consapevoli ma ad una massa di consumatori ingordi e incoscienti di qualunque valore culturale. La dimostrazione di ciò è proprio la massiccia presenza di multisala all’interno dei centri commerciali, dunque la parificazione simbolica tra il cinema e un qualunque altro bene di consumo pomeridiano. A complemento di ciò, e per suo effetto, il cinema è opera di chi sa fare impresa di se stesso, capitalizzando il consumo e minimizzando l’impegno intellettuale. Gli autori sono ai margini e vivono solamente in cinematografie minori o di frontiera. Pensiamo a Sharunas Bartas in Lituania, a certo cinema africano o latinoamericano. Essendomi occupato di cinema messicano in un mio recente libro (Messico! Cinema e rivoluzione, ndr) ho avuto modo di vedere un film geniale dal titolo Sangre (2005), regia di Amat Escalante. Una radiografia desolata della precarizzazione dei sentimenti umani. In Italia non se ne è saputo nulla.

Come addetto ai lavori e come spettatore, come vede l’attuale situazione cinematografica nel nostro paese?

Il cinema italiano non mi interessa; non mi attrae il suo minimalismo familista né la cauta critica sociale di certo cinema orrendamente socialdemocratico. Trovo assai mediocre il cinema di Moretti e di Garrone, sono fuori dal coro e con severità anche rispetto alle opere di Crialese. Mi interessano le esperienze apparentemente minori come il cinema di Ciprì e Maresco, Michelangelo Frammartino, gli indipendenti di valore che sono molti e coprono l’intero arco temporale del cinema italiano (in proposito, ho di recente presentato uno straordinario mediometraggio di un intellettuale agrigentino, Diego Romeo, dal titolo Informazioni Sensoriali (1979), un’opera sperimentale che anticipa la crisi del politico attraverso un discorso sulla malattia mentale oggi straordinariamente moderno nei suoi più complessi precipitati simbolici).

L’ultimo libro che ha letto …

I lettori si distinguono sostanzialmente in due categorie: chi legge un solo libro per volta, chi ne legge tanti. Io appartengo alla seconda. Tra i libri appena terminati un romanzo di John Updike, un volume di poesie di Durs Grunbein, tutto il teatro di Bulgakov, i corsi al Collège de France di Michel Foucault, un volume di critica letteraria sul romanzo inglese del novecento. E cose sparse di cinema per i miei studi.

Qualche anteprima sui suoi progetti futuri?

E’ appena uscito per i tipi de Il Foglio, mio editore di fiducia, un lungo saggio sul cinema sperimentale giapponese dal titolo Giappone Underground. Nei prossimi mesi saranno pubblicati un volume monografico sul cinema di Yoshishige Yoshida e un testo sulla nouvelle vague greca dal titolo Prometeo in seconda persona. Mi ero già occupato di Grecia col mio primo volumetto di cinema su Nikos Koundouros e sono molto fiero del risultato di questo nuovo libro, il primo in Italia ad affrontare una cinematografia immensa e sconosciuta come quella greca, che, essendo una cinematografia povera, non interessa nessuno. Per un siciliano come me, nato e cresciuto alla Valle dei Templi, le ragioni di orgoglio si fanno ancora maggiori. Il libro cui sto lavorando, invece, è la monografia di un altro giapponese, Yasuzo Masumura, ed avrà per titolo Giganti e giocattoli.

Nasce ad Agrigento, che rapporto ha con la sua città?

Come tutti i rapporti d’amore è una relazione conflittuale. Ho vissuto per alcuni anni fuori ma non ho mai perduto la malinconia della Sicilia. Non sono affatto riconciliato con Agrigento e spero di non esserlo mai; è il solo modo per amarla davvero con rabbia e devozione.

Quale domanda avrebbe desiderato le venisse posta?

Lei pone una scelta e, di conseguenza, pone anche una condizione. Solitamente le interviste ai critici di cinema si concludono con una domanda banalissima che lei, con intelligenza e garbo, ha evitato di porre: si chiede quale sia il film più importante della vita. Mi autoinfliggo questa domanda solamente perché mi mette nelle condizioni di citare un film che quasi nessuno conosce di un autore invece piuttosto noto; parlo di Illuminazione (1972) del polacco Krzysztof Zanussi. In questo caso il valore è del tutto emotivo e privato, ma è certo il film della mia vita.


mercoledì 28 settembre 2011

Il canto del cigno rosso di Federica Ferretti



Il canto del Cigno Rosso, è molto più di un libro “entusiasmante”, è un vero e proprio esperimento artistico, dove gli occhi si apprestano ad ascoltare parole colorate di rosso cardinale, poi d’autunno, di bianco candido e d’azzurro.
E' un romanzo epistolare, in cui molto spesso le parole si trasformano in pura poesia...nel raccontare un amore divenuto impossibile solo nello spazio e nel tempo.
Il Cigno Rosso cioè naviga in un mare di emozioni, le quali a mano a mano assumono una triplice natura, quando consentono ai sensi non solo di sovrapporsi, ma addirittura, di intrecciarsi in un legame quasi indissolubile, ed alle pagine, di diventare autonome rispetto al tutto.
E’ così che assume i contorni di un’opera cinematografica: colpisce infatti, per lo scambio quasi sinestetico di immagini e sensazioni di un Amore che non smette di vivere ma anzi si rinnova ad ogni pagina.
I Disegni che vi sono stati distribuiti, compenetrano le frasi, gli uni compenetrano le altre, tessendo le fila di un discorso che non sarà più possibile interrompere.
La scelta di utilizzare la strategia comunicativa dell’epistola sentimentale, serve per puntare gli occhi addosso alla gente il cui cuore palpita ogni giorno delle sue stesse emozioni. Elisa, la protagonista, incarna ognuno di noi, le vicissitudini che siamo costretti a subire, fino al dolore di un bacio mai dato a chi ci ha lasciato inavvertitamente, interrompendo troppo presto un colloquio di speranze.
Il Cigno si colora di Rosso nel fornire sempre un nuovo spunto, o più semplicemente il pretesto per guardarsi dentro, fino in fondo.
Canta ossessivamente quell’Amore, pur nella sua impalpabilità, perchè sa che rivivrà ad ogni ora, in ogni sguardo, in ogni battuta, trasformandosi nel pretesto per rincominciare una vita tutta nuova, per sfruttare la seconda possibilità che non ci saremmo mai dati.


L’autrice Federica Ferretti commuove mentre narra di un mondo interiore plurisfaccettato, poliedrico che rivive a sua volta nella quotidiana follia dell’esistere. Federica Ferretti, nasce a Teramo, 34 anni fa: è laureata in Scienze Politiche e Discipline Musicali, ama la contaminazione tra i linguaggi, per scoprire le mille sfaccettature della vita.
Direttore Editoriale di Echi da Internet, Fairie, il Mondo dell’Incanto e della nuova collana Radici, la letteratura Abruzzese, presso la medesima Rupe Mutevole, promuove una letteratura del tutto spontanea, viva, dinamica, specchio della cultura multimediale sempre più diffusa, per dare inizio ad una nuova era letteraria che però vuole conservare intatto il suo legame con i propri miti e Radici Culturali.

lunedì 19 settembre 2011

Maria Gabriella Giovannelli di Sandro Montalto



Intervista a Maria Gabriella Giovannelli sul romanzo Il campo dei colchici
(di Sandro Montalto)

Gentile Maria Gabriella Giovannelli, eccoci a parlare un poco del suo romanzo Il campo dei colchici (Edizioni Joker, Novi Ligure 2009). Come prima cosa, ci può spiegare la scelta di un titolo così particolare, con l’adozione del termine insolito “colchici”? Nella sua prefazione Pire Luigi Amietta suggerisce che lei abbia voluto richiamare l’ambiguità di un bulbo dal quale si può spremere sia uno zucchero sia un potente veleno.


Il titolo di un romanzo è sempre molto importante, sia perché deve stimolare il lettore, che si trova di fronte ad un’ampia offerta di testi, a soffermarsi su quel libro e a leggerne la quarta di copertina, se non altro per curiosità; sia perché in qualche modo deve introdurci alle vicende narrate. In Il campo dei colchici, la cui storia è ambientata sulle Dolomiti, i personaggi chiave hanno come una doppia personalità, un’ambivalenza. Tendono a svelare la parte migliore di sé, mentre esiste in loro un altro aspetto della personalità, un lato oscuro, che spesso rimane nascosto fino al momento nel quale si rivela in maniera drammatica.
Il colchico è un bellissimo fiore che cresce sui prati delle Dolomiti, creandovi vivaci macchie di colore che vanno dal rosa tenue al lilla. Se da un lato questo fiore è molto bello da vedersi, dall’altro ha il bulbo (la parte nascosta di sé) che può essere mortalmente velenosa. Ecco quindi l’aspetto allegorico del titolo.

Il tema del libro, la violenza privata (una violenza che trascina con sé altre persone, come in un vortice), il senso di colpa e, come si dice oggi, lo “stalking”, non è ovviamente di quelli che si scelgono per caso. Quali sono le ragioni di tale scelta? Inoltre, vorrei sapere quale è il suo atteggiamento di fronte ai temi sociali in generale nell’opera letteraria e teatrale.

La sua è una domanda che prevede una molteplicità di risposte, che però hanno una base comune: l’attenzione al sociale. La mia formazione ha seguito due percorsi preferenziali, quello teatrale che mi ha visto diplomarmi attrice presso l’Accademia dei Filodrammatici di Milano e quello di giornalista e scrittrice. Questi due aspetti della mia formazione spesso sono andati avanti parallelamente e si sono reciprocamente influenzati. Io sono convinta che uno scrittore di testi drammaturgici come di romanzi debba occuparsi anche del sociale e portare gli individui a riflettere su tematiche, forse molto lontane dal loro modo di vivere, ma che esistono e coinvolgono un numero elevato di persone. Seduta su di una poltrona di un teatro a guardare una piéce, o nella tranquillità della propria casa con un libro in mano, la gente deve essere stimolata, in modo alternativo a quello proposto dai media, a riflettere su ciò che accade magari al vicino di casa. Una delle tematiche che in primis come donna, ma fondamentalmente come essere umano, mi hanno da sempre interessato ed emotivamente coinvolto, è quella della violenza sulle donne in senso lato, presente nel mondo. Ho voluto però dar voce ad un tipo di violenza che non lascia segni visibili sul corpo, ma che ferisce altrettanto nel profondo, la cosiddetta “violenza psicologica” i cui effetti a volte sono devastanti. Lo stimolo maggiore a trattare questo argomento mi è venuto dal fatto che è un tipo di violenza estremamente difficile da dimostrare. Bisogna portare le persone “dentro al problema”, utilizzando tutti i mezzi possibili, compresa la letteratura.

Mi hanno colpito non solo il tema principale ma certe osservazioni quasi en passant come quella, all’inizio del romanzo, circa l’assenza di solide basi famigliari come causa in qualche modo della disgregazione sociale, o come quelle circa la necessità di recuperare un ritmo più lento che ci permetta di ascoltare ed osservare.

La mancanza di solide basi familiari che caratterizza molta gioventù di oggi; il fatto che l’individuo deve cercare di recuperare un ritmo di vita meno frenetico e porsi degli obiettivi, ma anche dei limiti, per poter sopravvivere: elementi che lei ha trovato tra le righe del mio libro, sono precise constatazioni sulla realtà di oggi. Certo ogni individuo deve cercare di dare un senso alla propria vita e può farlo solo se si ferma per un attimo, se ascolta se stesso e si accorge del mondo che lo circonda.


Mi sembra necessario anche chiederle le ragioni dell’ambientazione: leggendo la quarta di copertina colpisce, infatti, l’apparente contrasto tra la vicenda tinta di violenza e sopraffazione ed il paesaggio delle Dolomiti che si penserebbe custode di una particolare serenità.


Il libro permette anche di scoprire un pezzo d’Italia di rara bellezza, un territorio divenuto di recente patrimonio dell’umanità. Le Dolomiti diventano “l’elemento scenografico” all’interno del quale si svolge la vicenda del romanzo. È una terra che conosco bene poiché mio padre, grande amante della montagna, me l’ha fatta scoprire ed amare fin da quando ero adolescente. Tale ambientazione mi ha permesso di inserire all’interno del libro “momenti lirici” che hanno una doppia funzione: quella di far meditare e in certo modo rasserenare l’animo del protagonista maschile Paolo e quella di alleggerire la tensione della trama condotta sul filo del thrilling. Aver ambientato una storia che ha risvolti drammatici in un contesto di apparente tranquillità ha inoltre lo scopo di sottolineare che dietro una facciata di apparente serenità spesso accadono fatti inimmaginabili e la cronaca nera continuamente ce ne dà conferma.

La sua attività più nota è quella di operatrice nel mondo del teatro: docente, attrice, drammaturga, regista. Viene naturale chiedersi se questo romanzo sia frutto di alcune esperienze maturate in questo campo oppure è una esperienza in qualche modo a lato, seppur ovviamente connessa al resto. Non c’è dubbio infatti che una persona con le sue esperienze abbia un modo preciso di trattare i personaggi e la storia, però non si può dimenticare che teatro e prosa sono due modalità espressive radicalmente diverse. Ho notato, ad esempio, che le battute dei dialoghi presenti nel romanzo non hanno il ritmo del parlato o del teatro contemporaneo, bensì un andamento più lento e rilassato, più piano, direi quasi più consono alla narrativa e al teatro della prima metà del Novecento. Esistono però anche alcune espressioni curiose, come (p. 52) «nuove quinte di montagne»; altrove (p. 71) tra i pochi libri osservati nella libreria di uno dei protagonisti viene citato un Pirandello. Altrove ancora, (p. 77) maliziose citazioni larvate: «tra due file ininterrotte di alberi», ovviamente da Manzoni (un riferimenti forse non solo letterario ma anche schiettamente milanese, o almeno lombardo?).

Come le dicevo, la mia attività legata al teatro, negli anni, è andata pari passo con quella legata alla scrittura drammaturgica e letteraria. Sono evidentemente differenti modi espressivi. In un caso si deve tener presente che il testo deve poter vivere su un palcoscenico e relazionarsi con l’utente finale che è lo spettatore. Questo non bisogna mai dimenticarlo. Nella scrittura drammaturgica non possiamo quindi narrare una storia, descriverla; dobbiamo invece, attraverso il dialogo o il monologo, far vivere e mettere in relazione reciproca i vari personaggi in tutta la loro globalità (azioni, pensieri, gesti ecc). Il romanzo permette invece di raccontare una storia, di inserire all’interno di una trama momenti descrittivi legati al paesaggio, all’ambiente ecc. È pur vero tuttavia che anche in un romanzo, perché un personaggio sia credibile, bisogna saperlo “far vivere” nella mente del lettore, in modo che il lettore diventi quasi “partecipe della storia” e si lasci condurre fino alla fine del romanzo. Quando inizio a scrivere un racconto o un romanzo quindi non solo cerco di strutturarne la trama in modo che coinvolga il lettore e lo stimoli a proseguire nella lettura, ma cerco di immaginare e di vedere con la fantasia ogni “singola scena”, di rappresentarmela davanti come se dovessi dirigere una regia. In tal modo vedo i personaggi muoversi, interagire e riesco a valutarne meglio la credibilità e la spontaneità. La preparazione teatrale, ricevuta in Accademia, mi ha educato a conoscere e scoprire a poco a poco il personaggio del quale mi sto occupando, cercando di conoscerlo nel suo profondo. L’osservazione dei “tipi umani” nella realtà della vita aiuta a riproporre poi quel tal personaggio sulla realtà scenica o narrativa. Ecco quindi che le due formazioni ricevute si sono sempre integrate a vicenda, rispettando le differenze proprie di ogni campo della creatività.
La sua osservazione inerente alle citazioni, ad alcune “espressioni curiose” ecc apre un discorso più ampio, inerente alla formazione di uno scrittore. Io credo che essa avvenga attraverso un procedimento direi di “metabolizzazione interiore”, dei vari testi classici e non che il soggetto legge; una specie di “trasformazione chimica ed energetica” che dovrebbe sfociare, a mio parere, in un modo di scrivere personale e originale. A volte parte del “metabolizzato” può affiorare in modo quasi inconsapevole e del tutto naturale.

Mi incuriosisce anche la scelta di narrare in prima persona, e dal punto di vista di un personaggio maschile.

Per quanto concerne l’io narrante maschile in un contesto che affronta una situazione di violenza sulle donne, vorrei precisare che questa è stata una scelta con uno scopo preciso. Io penso che bisogna affrontare tematiche forti anche senza far credere al lettore che lo si sta facendo, ossia portandolo per mano dentro al problema. Ecco perché l’io narrante non è una donna, ma un uomo: un uomo che racconta una storia di violenza, scoprendola lui stesso, insieme al lettore, per gradi, come ricomponendo un puzzle i cui pezzi si sono mescolati. L’io narrante poi è anche una figura maschile positiva, pur con tutte le incertezze e contraddizioni che contraddistinguono l’animo umano: una figura positiva che si contrappone a quella violenta con la quale è abituata a convivere la protagonista Anna. Certamente entrare nel modo di pensare di un uomo ha comportato da parte mia lo sforzo di cercare di capirne la psicologia, che è ben differente da quella femminile.

Lei ha pubblicato anche un volume di poesia, intitolato Voci. Come inserisce questa uscita, ormai di venti anni fa, nel suo percorso? Ritiene che il passaggio dalla poesia alla prosa significhi un mutamento del suo punto di osservazione?

Quando ho scritto Voci stavo attraversando un periodo molto particolare della mia vita: per la prima volta, ancora giovane, mi trovavo a fare i conti con “il dolore” e a cercare di comprenderne il significato. Il libro è dedicato a mia madre, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita immobile in un letto: la mente era lucidissima, ma la sua unica possibilità di comunicazione con il mondo esterno era lo sguardo e il movimento della mano destra. Avevamo stabilito una specie di codice di segni che comprendevamo solo noi. Ritengo che solo attraverso la poesia si possano “condensare e far vivere” le emozioni in una parola. Nella dedica a mia madre scrivo «Oceanici voli di rondini / nell’immenso / stupore di un attimo». Riporto la citazione di Pier Carpi nella prefazione che dice: «Poesie come frammenti di universo, poesie come invito a cantare i momenti della vita, al di fuori del tempo, in quel punto divino dove passato, presente e futuro non conoscono distinzioni, ma sono una cosa sola. La luce perfetta della conoscenza». Già prima del libro di poesie Voci avevo scritto racconti e un breve romanzo, quindi “l’esperienza” della poesia non rappresenta un punto particolare di osservazione della realtà, ma è rimasto sempre per me nel corso della vita un momento unico per esprimere intense emozioni.

Leggendo il romanzo una delle cose che mi hanno colpito è la rapidità di certi passaggi, che non esiterei a definire cinematografica, e la presenza delle cosiddette “spie narrative”, soprattutto quelle utili fin dalla prima pagina a suggerire il clima e i rapporti psicologici presenti tra i protagonisti: mezze frasi, toni, occhiate. Ritiene che nel suo romanzo anche l’ottica cinematografica abbia avuto un ruolo? E, in generale, come si rapporta una donna di teatro e narratrice con il mondo del cinema?

Certamente sì. Un regista sia che si trovi davanti a un palcoscenico o dietro ad una macchina da presa, (mi riferisco naturalmente a film d’autore, che spesso sono la trasposizione di romanzi d’autore, non certamente al cosiddetto “cinepanettone”), sa che per interessare il suo pubblico deve introdurlo nella vicenda “dicendo e non dicendo”, a volte facendogli credere che le vicende vadano in una certa direzione mentre invece poi vanno in tutt’altra. Si seminano indizi lungo il percorso. La descrizione di paesaggi o di stati d’animo poi, che la cinematografia riesce ad evidenziare attraverso la cinepresa, vengono comunque da me ripresi nella narrazione, nei momenti in cui indugio sulle bellezze del territorio o su certi aspetti del carattere dei personaggi. Recentemente mi hanno detto che il libro potrebbe diventare una sceneggiatura cinematografica. Mi farebbe piacere anche se sono convinta che le immagini toglierebbero al fruitore un elemento che solo la lettura di un romanzo può dare: la possibilità di diventare “complice” dell’autore nel profondo della propria anima.

La ringrazio per queste considerazioni. La domanda di rito è: quali sono i suoi progetti per l’immediato, e per il futuro?

Teatrali e letterari. Non amo fare anticipazioni su ciò che sto facendo fino a quando i progetti non si siano concretizzati (è anche questo un retaggio che mi deriva dal mondo del teatro); comunque posso anticiparle che sto completando un secondo romanzo e di pari passo una serie di racconti. Data la mole del lavoro sono progetti che in parte si realizzeranno in un futuro abbastanza immediato e in parte slitteranno tra la fine del 2011 e il 2012.

Serena Bono di Carina Spurio



Serena Bono

Origine e diffusione del vampirismo


– Il doppio volto della donna: angelo o demone?

Roma, Albatros Editore,
2010, pp. 112
IBSN: 9788856727999

Intervista di Carina Spurio

“Origine e diffusione del vampirismo” è il titolo del suo saggio pubblicato dal Gruppo Albatros nel quale lei cerca di approfondire il tema del vampirismo servendosi di un’ottica antropologica ed esegetica …
Sembrano due parole tanto difficili ma è semplicemente un'analisi dell'uomo, delle sue caratteristiche e del suo comportamento all'interno della società in cui vive attraverso lo studio e l'interpretazione di testi che ne trattano. Quelli presi in esame sono di carattere religioso, storico, artistico, antropologico e letterario. Si parte sin dalla Genesi in cui appare uno dei primi demoni femminili, Lilith la prima moglie di Adamo, per poi soffermarsi su credenze e miti di antiche popolazioni, sulle testimonianze storiche dei primi casi di vampirismo fino ad analizzare gli aspetti letterari di questo mito esaminando in particolare, anche attraverso l'iconografia, i personaggi femminili di due romanzi ottocenteschi quali Carmilla di J. S. Le Fanu e Dracula di B. Stoker.

Da lungo tempo si parla di vampiri che da secoli si mimetizzano, come lei scrive, “nei tessuti sociali a incarnare le paure”. Tra le sue teorie e ipotesi leggo che ne sono state avanzate cinque: l’origine universale o preistorica, l’origine sciamanica, l’origine orientale, l’origine europea antica o medioevale e l’origine moderna …
Montague Summers, celebre vampirologo, ha sostenuto la teoria dell’origine universale del vampiro. Siamo nel 1928 “La tradizione” dichiarava “è mondiale e di un’antichità senza data”. Le prove a questa teoria si trovano nella cosiddetta paura dei morti. Giacché la morte ha avuto inizio con la vita, sin dall’inizio della storia le popolazioni si sono trovate di fronte all’ignoto, al non conosciuto e da qui sono nati particolari metodi di sepoltura, particolari credenze. Questa teoria è stata sostenuta anche da un’altra famosa studiosa dell’argomento, Ornella Volta. Questo timore verso i defunti possiamo trovarlo sin dalla preistoria, e in tutte le parti del mondo.
Secondo alcuni autori, la presenza del vampiro e di alcuni personaggi affini, nasce in un preciso ambiente religioso-culturale, e cioè quello dello sciamanesimo. L’area territoriale che questa identificazione ricopre è vastissima e va dal mondo celtico alla Siberia, dagli indiani d’America del Nord alla Germania precristiana, alla Scandinavia e all’Europa orientale.
Personaggi simili al vampiro erano già stati segnalati in oriente da Marco Polo, ma solo nell’Ottocento è iniziato uno studio sistematico del vampirismo nel mondo orientale. Possiamo trovare testimonianze provenienti dalla Malesia, dall'India e dalla Cina. In queste zone sono tante le credenze in spiriti malevoli succhiatori di sangue.
Un' altra teoria è quella che farebbe risalire l’origine del vampiro all’ambiente culturale greco e romano o al periodo medievale in Transilvania, o comunque nei paesi dell’Est europeo. Vero è che la Transilvania è ricchissima di leggende in tal senso, alimentate soprattutto dal mistero che ancora oggi circonda il personaggio di Dracula, il celebre Vlad Tepes, eroico condottiero sanguinario che si distinse nella lotta contro i Turchi. Da qui la nascita della figura del vampiro per eccellenza.
La teoria di un origine moderna, mette in relazione la nascita del vampiro con il forte periodo di crisi spirituale collegato con l’Illuminismo. Il suo principale sostenitore è Jean-Claude Aguerre che sottolinea come le difficoltà di interpretare il rapporto uomo-anima e quindi il problema della morte, nel Settecento, avrebbe in qualche modo plasmato la figura di colui che vince la morte con il proprio stesso corpo.


Nel sottotitolo si legge “Il doppio volto della donna: angelo o demone?” rivelando una particolare attenzione alla figura femminile e ad una sessualità che diventa elemento fondamentale …
Partendo dal vampirismo analizzato nei vari suoi aspetti, ho portato in primo piano la figura della donna, messa spesso in disparte dalla società come la vampira lo è stata dal ruolo predominante del vampiro. Le vampire ci appaiono come amanti insoddisfatte o lesbiche: ciò fa pensare che possano essere viste anche a livello sociologico come anormali, sessualmente preponderanti, capaci di plagiare e di controllare la psiche degli uomini con cui vengono in contatto, dominandoli e infine uccidendoli. Esse sono rimaste fedeli ai loro antichi avi: donne di estrema bellezza che seducono le vittime prosciugandole di sangue e di sperma per potersi rigenerare. Intorno al 1900, la donna da angelo del focolare, viene vista come creatura viziosa, strega ammaliatrice e questo perchè riscopre il proprio ruolo di donna, la propria sessualità. Di lei si ha paura perchè capace di irritere l'uomo, di attrarlo irreparabilmente tra le sue spire ed è per questo assimilabile ad una vampira.

Dunque il vampiro non è morto, ma non è nemmeno vivo, ma un non morto che ha incarnato le paure dell’uomo dalla notte dei tempi …
Si tratta di un mito riscontrabile in tutti i tempi in tutto il mondo. Il vampiro è lo spirito di una persona defunta, rianimato dalle forze del male, tornato per tormentare i vivi privandoli del sangue per poter continuare la propria “non vita”. Il folklore assegna gli stessi tratti somatici al vampiro e al ritratto popolare dell'individuo dalla sessualità fuori dal comune. Attraverso i secoli il vampiro muta le sue sembianze da bestia sanguinaria, rozza e primitiva a uomo fascinoso e acculturato che spaventa perché diverso e misterioso ma che allo stesso tempo attrae e seduce.

Mentre nel passato Dracula fu una figura cinematografica soggetta a molte censure perché raffigurava il male assoluto, nei film di oggi gli eredi di Dracula, categoricamente giovani e belli, vivono nei film strazianti storie d’amore con donne umane: sono vampiri umanizzati che non dormono nelle bare, non uccidono gli esseri umani e sopportano la luce del sole: vampiri e umani convivono tranquillamente sui set cinematografici e sui libri, continuando a non morire mai …
Il vampiro è immune ad ogni malattia, possiede una forza eccezionale, è intangibile, inattaccabile, può influenzare gli altri esseri, ma soprattutto sopravvive alla morte, supera una delle massime aspirazioni e una delle massime angosce dell'uomo. L'incognita della morte è affascinante e ripugnante allo stesso tempo. Il vampiro incarna la volontà di sfuggire ed elevarsi dalla massa vivendo un'esistenza eccezionale, impossibile per i comuni mortali. Tutto ciò credo sia alla base della nostra grande attrazione verso questa figura, ormai dai tratti più umanizzati che soffre e ama come noi.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Sin da piccola sono stata attratta da storie macabre e dell'orrore e andando avanti con gli anni ho cercato di approfondire sempre più l'argomento. Leggendo e analizzando i vari racconti e soprattutto quelli dedicati al vampirismo mi sono accorta di quanto poco si parlasse delle donne vampiro: era sempre l'uomo il protagonista delle narrazioni. Così ho cercato di studiarne le cause e rivalutare, in generale, la figura della donna che, attraverso i secoli, spesso ha avuto un ruolo secondario all'interno della società.

Quanto tempo ha dedicato alla realizzazione di questo testo?
Ero diventata un vero topo di biblioteca.......in definitiva un anno. Le ricerche sono state difficoltose, anche se potrebbe apparire strano visto quanto l'argomento sia già stato trattato. Quello a cui cercavo di giungere però era trasmettere l'argomento sotto un differente punto di vista.....


Ci può illustrare la copertina del libro?
La complessità dell'animo femminile: una donna e la sua ambivalente personalità contraddistinta da luci e ombre. Un immagine allo specchio, da sempre simbolo del doppio, portale di passaggio per altri mondi arcani e misteriosi.

Cos’è per lei la scrittura?
Sicuramente un momento di evasione anche se più precisamente amo quello che la precede.....la ricerca.

Scrive di notte o di giorno?
Preferisco la notte, perché riesco ad avere maggiore concentrazione quando tutto è silenzio.

Qual è il suo rapporto con internet?
Buono, amo la ricerca ma anche lo svago che se ne può trarre.

Lei è storica dell’arte e insegnante, in che modo comunica con i suoi allievi?
Cerco innanzitutto di conoscerli, comprenderli e stabilire un rapporto di fiducia reciproca. Non amo stare in “cattedra” e dare loro solo informazioni. Al giorno d'oggi la cultura è molto importante ma lo è anche il rapporto umano. Credo che oltre agli insegnamenti dati dalle proprie famiglie la scuola sia il secondo punto di riferimento per un ragazzo che sta crescendo e che si sta formando.

Da dove ha origine la sua passione per il Gotico?
Mi ha sempre incuriosito ed affascinato il periodo medievale con le sue ambientazioni misteriose, le atmosfere terrorifiche, il tema della possessione demoniaca, del male, delle antiche profezie,i conflitti interiori dei personaggi ambigui, misteriosi, preda di passioni violente o tormentati da pene d'amore.

Una domanda all’apparenza facile per una risposta difficile: chi è Serena Bono?
Questa domanda è davvero la più difficile!
Sono una donna romantica, che vive ogni cosa con passione e sensibilità. Adoro l'amore, la famiglia, il divertimento, viaggiare alla scoperta di cose nuove. Una sognatrice che guarda al futuro e spera sia ricco di prospettive.

Per poter scrivere bisogna leggere, quali sono le sue letture preferite?
Devo ammettere che sono un po' monotematica, oltre alla letteratura di genere noir prediligo i triller, soprattutto quelli storici: tutto ciò che tratta azione e mistero.

Un suo grande desiderio?
Un lavoro soddisfacente e una bella famiglia! Mi piacerebbe poter viaggiare, conoscere nuovi luoghi e nuove culture....

Una dedica …
A tutti i miei futuri lettori, citando un frase tratta dal libro “una vita senza bacio è limitata, è costretta a finire”.....passione, amore....una delle forze più potenti della nostra vita.

Un ringraziamento?
Grazie a te Carina perché mi stai dando l'oppurtunità di farmi conoscere e di far conoscere uno studio che mi ha tanto gratificato e che spero possa essere interessante anche per altri che hanno la mia stessa passione. Grazie ai miei genitori e a mio marito perché mi hanno sempre sostenuto dandomi fiducia anche in questa nuova avventura da scrittrice.

Lei è felice?
Molto.....


Il suo prossimo libro sarà un saggio o un romanzo?
Ho già pronto un altro saggio....misteri e superstizioni.....


Serena Bono è nata a Pescara nel 1977. Si è laureata in Lettere Moderne nel 2003 e specializzata in Storia dell'Arte, Metodologia Gestione e Conservazione del Patrimonio Storico-Artistico nel 2008 presso l'Università di Chieti. Svolge la professione di storica dell'arte e di insegnante. Dalla passione per il Gotico e per le sue oscure ed affascinanti figure nasce Origine e di usione del vampirismo - Il doppio volto della donna: angelo o demone?, la sua prima pubblicazione.

giovedì 15 settembre 2011

Sandro Montalto di Carina Spurio



Sandro Montalto

Intervista di Carina Spurio


Lei è Direttore Editoriale delle Edizioni Joker e dirige svariate riviste culturali e letterarie. In che modo inizia il suo percorso dedicato alla cultura?

Per caso, come spesso succede. Fin da piccolo leggo e scrivo, interessandomi di materie letterarie, artistiche e scientifiche (mi disturbano certi steccati di comodo!). Sinceramente non ricordo i particolari, posso dire che a un certo punto (era il 1995, avevo circa 17 anni) ho iniziato a frequentare incontri, presentazioni e convegni. La mia prima sensazione, peraltro la stessa che ho adesso, è stata quella di uno spettacolo osceno basato sulle reciproche convenienze e su un pollaio di Ego insopprimibili; tutti parlavano di sé, manifestavano scarsa curiosità verso il prossimo e una preparazione spesso approssimativa (e se lo capivo io, che stavo studiando musica e chimica …). Ho isolato le pochissime persone che mi andavano a genio (innanzitutto Roberto Bertoldo, uno scrittore, critico e filosofo che ammiro e la cui lettura suggerisco a tutti), ho iniziato a discutere con loro capendo che molti erano opportunisti (cercavano il giovane da far entrare nella loro “scuola”) e, a seguito di ulteriori scremature, ho iniziato a formarmi scrivendo moltissime recensioni, poi sono iniziate le richieste di prefazioni, di collaborazioni fisse a riviste e a qualche giornale, etc. Ora la maggior parte di quelle persone, con le quali spesso ho fatto litigate anche pubbliche (non mi sopportavano, e non mi sopportano, perché non ero riconducibile a consorterie con le quali fare qualche affare, e dunque ero libero di dire ciò che pensavo, giusto o sbagliato che fosse), si sono perse, siccome senza un gruppo alle spalle la loro vacuità è stata smascherata; altri si sono fatti la lotta fino a soccombere tutti siccome lottavano solo per un posto; altri hanno fatto carriera con l’appoggio della politica. Rimane un gruppo ristrettissimo di autori, anche giovani, che sta facendo una onesta carriera nei giornali, nell’editoria o nell’università. Altri, molti, scrivono con modestia e per necessità la sera, dopo aver magari venduto il pesce o programmato computer tutto il giorno.

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Fa parte della giuria di alcuni premi letterari …

Ho partecipato a molte giurie e alcuni premi li ho co-fondati, o almeno ispirati. Ma non ho mai resistito più di una edizione, siccome ho sempre trovato delle zone poco chiare che ho denunciato. E’ il motivo per cui, non avendo in questi casi prove da esibire, ho preferito limitarmi a lasciare l’incarico – o a lasciarmi allontanare – senza più nominare quei premi. L’unico premio che amo, al momento, e del quale sono oltre che giurato anche co-fondatore e direttore tecnico, nel quale mi trovo benissimo e che dopo due sole edizioni ha già prodotto libri, molti rapporti, incontri etc. è il premio “Torino in Sintesi” dedicato all’aforisma, nato anche e soprattutto grazie alla generosità della Presidente Anna Antolisei. Da esso sta anche scaturendo l’Associazione Italiana per l’Aforisma, che stiamo fondando ufficialmente in questi giorni.

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Oltre ad essere editore lei è anche autore. Ha pubblicato svariati volumi tra i quali saggi sulla poesia contemporanea, aforismi e prosa. Tra le mie mani: L’eclissi della chimera (Edizioni Joker 2005), Crolli emotivi (Lietocolle, Fallopio 2006), Esequie del tempo (Manni, 2006), Monologhi di coppia (Edizioni Joker, 2010). Una breve descrizione per ogni testo?

Mi permetto di correggerla. Io sono un autore, innanzitutto ed essenzialmente; in seconda battuta, per amore della letteratura e per cercare di far emergere una serie di autori bravi senza appoggi, mi sono dedicato alla critica e poi all’editoria. Lavori, peraltro, ingrati, siccome mi sono accorto che agli autori troppo spesso interessa più la grandezza del nome in copertina che non una cura scrupolosa del testo, oppure, in una recensione, preferiscono toni entusiastici a disamine serie ed approfondite. Ecco perché su critica ed editoria oggi mi sto interrogando.
Ho pubblicato fino ad ora 16 libri, e non voglio rubare troppo spazio. In sintesi ho pubblicato tre raccolte di versi intitolate Scribacchino (2000), Esequie del tempo (2006) e Il segno del labirinto (2011). Credo che insieme diano una immagine fedele e abbastanza completa del mio essere poeta. Infatti, si rimpallano molte dei miei nodi fondamentali, risolti e irrisolti, ma con tre toni diversi: nel primo libro andamenti più sperimentali e polemici, nel secondo andamenti più solenni in una forma che tenta di indagare la possibilità del poema oggi, e nel terzo un linguaggio certo aspro, molte volte, ma nel complesso più intimo, lirico, persino quotidiano. Tra l’altro, tutti questi testi sono nati negli stessi anni.
C’è poi il lavoro sugli aforismi (unico libro per ora pubblicato L’eclissi della chimera, 2005), sul teatro (unici lavori per ora pubblicati Monologhi di coppia, 2010, che ha esordito nel 2008 al Piccolo di Milano, e la farsa Ubu furioso, uscito come libro d’arte presso il Collage de ‘Pataphysique di cui sono Reggente; ma molti altri testi stanno girando attualmente per diverse compagnie), più un libro strano, che temevo ed invece è piaciuto abbastanza, costantemente pencolante tra disperazione e comicità: Crolli emotivi (citerei la nuova edizione del 2010).
C’è poi il lavoro critico, sia sul versante della poesia contemporanea (finora raccolto in tre volumi: Compendio di eresia del 2004, e i due volumi Forme concrete della poesia contemporanea e Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea, entrambi del 2008), sia su altri versanti, concretizzato in libri su Umberto Eco, su Edoardo Sanguineti (curato con Tania Lorandi), e due volumi su Samuel Beckett. Ci sono poi plaquette artistiche, antologie di poeti e aforisti e altro, ma il succo è questo.

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Scrive anche di musica, cinema ed enigmistica su riviste specializzate, oltre a dedicarsi all’attività di compositore …

Sì. Come detto non amo gli steccati, che spesso servono a giustificare pigrizia, mancanza di curiosità o ignoranza. Certo io vorrei sapere tutto della matematica, o della chimica, mentre so pochissimo; però appena posso leggo i molti testi di divulgazione scientifica che oggi esistono, fortunatamente spesso fatti molto bene. Uno scrittore non deve precludersi esperienze, purché siano vissute nel profondo e non come infarinature. Lo stesso cerco di fare con l’arte, anche se è purtroppo territorio di parolai e pennivendoli, mondo nel quale ho anche presentato e sostenuto alcuni autori (due nomi tra i tanti Daniela Rizzo e Nadia Boneccher Azzoni). Idem, anche se mi ci sono dedicato poco, per quanto riguarda il cinema (uno dei miei libri è una lettura parallela di Beckett e Buster Keaton, il vero genio del muto), e l’enigmistica/ludolinguistica, amore concretizzatosi in diverse collaborazioni e nella fondazione di una delle riviste che dirigo, intitolata «Cortocircuito». Penso che, in un certo senso, una grande poesia e la pubblicità di uno yogurt, o una dichiarazione d’amore e una di guerra, siano solo diverse combinazioni di lettere, dunque spesso un anagramma ha da insegnarci quanto un distico ritenuto immortale.
La musica invece la studio fin da quando ero bambino, e mi dedico a insegnare un po’, a dirigere alcuni cori e a comporre (con una lentezza e una flagellazione autocritica che definirei esasperanti!).

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Qual è la sua posizione nei confronti dell’ormai controversa questione dell’editoria a pagamento?

In questi anni ho accertato che la quasi totalità degli editori che dice di non far pagare gli autori, invece, lo fa. Lo stesso vale per gli autori che dicono di non averlo mai fatto. Trovo che la cosa non sia controversa, ma solo strumentalizzata. Come ho detto prima non faccio l’editore strictu sensu e me ne infischio di statistiche, marketing etc. Peraltro, mi permetta, io non faccio l’editore bensì il direttore editoriale; penso alla qualità del testi, non al denaro che entra o esce, non mi riguarda. Però ci sono leggi del mercato insopprimibili: poniamo che lei mi proponga un libro di poesia e sa benissimo che venderà 20 copie, e magari mi dice che non ne vuole copie perché non interessa neanche a sua madre (la cosa mi è successa). Ebbene, se lei fosse un editore sosterrebbe per intero le spese? Non credo proprio, a meno di fare 5 libri all’anno, cosa che alcuni fanno … ma senza fare editoria, ossia senza fare libri che abbiano una casa e una visibilità. Dovere dell’editore è aiutare l’autore fornendo un reale servizio di editing, cura grafica, stampa accurata, distribuzione e promozione (tutte voci di spesa che gli autori nemmeno si sognano!), in cambio di un aiuto in termini di acquisto-copie che deve essere ragionevole. Peraltro un autore di copie ha bisogno, no? Poi, certo, c’è sempre qualcuno che non capisce nulla e parla: io ho avuto un autore che mi ha dato dell’incapace perché a un mese dall’uscita del suo libro di poesie il «Corriere della sera» non lo aveva ancora recensito (!), e un altro che aveva firmato per la pubblicazione delle sue poesie in 600 copie, poi voleva citarci perché aveva capito 6000 (!!). Questi non solo non sanno come funzionano i giornali (peraltro poco dopo il Corriere ha parlato di due nostri libri) e quanto tirano Einaudi o Mondadori nelle collane di poesia, cosa grave fino a un certo punto, ma soprattutto, cosa inaccettabile, si credono gli unici al mondo ad avere diritto al 100% delle risorse e delle energie.
Naturalmente, però, un editore anche piccolo deve investire, e noi lo facciamo pubblicando libri molto buoni di poeti in situazioni particolari o giovanissimi, e soprattutto saggi (alcuni dei quali stanno avendo decisamente una buona sorte); per non parlare delle nostre riviste nel quale non devi abbonarti per essere pubblicato, contrariamente a ciò che fanno colleghi anche … illustri.

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In qualità di direttore editoriale, pensa sia ancora possibile puntare a una riscoperta del valore dei contenuti invece che seguire mode e costumi …

In parte ho già risposto. Posso aggiungere che i grandi editori pubblicano un sacco di immondizia, ma sono enormi baracche che spesso costano milioni di euro, danno lavoro a molte persone, ed è comprensibile che debbano tirare avanti. Vorrei solo che distinguessero le diverse cose che pubblicano, dando a tutte la necessaria visibilità. Se voglio Liala, o Camus, devo poterli reperire con uguale facilità, ma anche capire esattamente cosa sto comprando se non conosco i due autori. Se poi questi editori vogliono o devono pubblicare robaccia per fare cassa lo facciano, questo li differenzia da noi; però allo stesso tempo non mandino fuori catalogo ogni anno decine di testi fondamentali come avviene sempre più spesso (anche nel mercato dei dischi, peraltro).

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Attualmente, l’economia attraversa un momento difficile, la carta stampata è in crisi, mentre l’editoria si confronta con le nuove sfide tecnologiche: iPad, smartphone e tablet. Il mercato si evolve, si plasma e con esso gli editori che devono rispondere alla necessità di trasformare i progetti cartacei …

Qualcuno diceva che il “momento di crisi” è la condizione perpetua dell’uomo. Tutti gli allarmismi mi spaventano poco (lavoro in una biblioteca, e so bene che la gente non è vero che non legga, piuttosto compra poco per via dei prezzi folli dei libri), compresi quelli a sfondo elettronico. Penso che le tecnologie non soppianteranno mai il libro (che è uno di quegli oggetti definiti modificabili ma “non migliorabili”, come il cucchiaio), così come penso che gli oggetti non hanno colpe né meriti. Ad esempio avere in formato elettronico gazzette, giornali, manuali che invecchiano subito etc. sarebbe un favore fatto all’ecologia. Ma quando sento che la gente legge meno per colpa della televisione o di internet mi viene l’orticaria: non sarà colpa dell’incapacità di genitori e insegnanti, piuttosto? O dell’abdicazione di critici e intellettuali?

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Quali caratteristiche deve avere un testo per sedurla?

Come detto io faccio una editoria di nicchia, quindi pubblichiamo pochi romanzi e racconti. Ma quei pochi li ho pubblicati per le intrinseche qualità della scrittura, a volte davvero sorprendenti, al di là dell’argomento: abbiamo pubblicato romanzi storici, fantasy (senza tutte le caratteristiche dei fantasy soliti, a mio giudizio noiosissimi e banali), d’amore etc. In qualche caso sono libri che hanno anche venduto un numero di copie decisamente apprezzabile per i nostri livelli. Credo che occorra investire in qualità, e la qualità è data dalla bellezza della scrittura.

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Il titolo e la copertina sono elementi di una strategia di vendita?

Sono un bel gioco, se possibile da giocare con l’autore, ma pensare che siano fondamentali significa arrendersi al mercato più becero (e, comunque, fallire).

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Difendere la cultura nell’Italia di oggi è una sfida o una passione?

Ambedue: la passione, quasi l’unico motore della vita degna di essere vissuta con tutte le sue fatiche e noie, è una sfida alla quotidianità. E’ l’unico modo per investire non solo sul domani, ma anche (e spesso ci vuole più coraggio!) nell’oggi.

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In un presente schizofrenico che impone nuovi canoni di originalità, come vede il futuro dei nuovi talenti?

I canoni basta non farseli imporre. Troppo comodo fare le vittime. Domani come ieri ce la faranno i talenti che cercheranno in sé la propria forza, e non inseguiranno né tradizione né innovazione se si tratta di strategie a tavolino. Puoi avere anche un buon successo, che però dura 5 anni e poi scompari. Bisogna scegliere, io ho fatto le mie scelte e non giudico nessuno da questo punto di vista. Siccome se sono antipatici quelli che inseguono il successo facile, non sono da meno quelli che se ne stanno rintanati e attribuiscono il loro essere sconosciuti a non ben comprensibili complotti.

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Quali sono stati gli autori che l’anno influenzata - ispirata?

I più diversi. Come ogni elenco, il mio sarà parziale e figlio del momento. Limitandomi ovviamente agli scrittori (spesso idee interessanti in campo letterario mi sono venute da un musicista, ad esempio) citerei almeno Borges, Cioran, Beckett, Queneau, Camus, Canetti, Manganelli, Savinio, Dostoevskij… Senza contare la grande tradizione degli umoristi: Swift, Wilde, Jerome, Woodehouse, un certo Campanile, Mosca, Allen, o certi autori anche televisivi come Vianello e Marchesi, o Bergonzoni, o anche umoristi oggi un po’ dimenticati come Carlo Manzoni. E Kafka? Ma ricorda che Kafka leggeva Il processo la sera ai suoi amici, e tutti insieme si facevano delle matte risate?

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Cos’è per lei scrivere; catarsi, momento di riflessione, piacere, narcisismo, ribellione, o altro?

Essenzialmente un esercizio, anche faticoso perché necessita di grande precisione e costanza. Non ho mai creduto all’ispirazione, credo che avesse ragione Edison secondo il quale il genio è 10% ispirazione e 90% traspirazione. Ma un esercizio che non deve essere sterile, a tavolino: piuttosto una sfida fisica, come camminare sulla corda o battere il proprio record di marcia, necessario per concretizzare e dunque capire, guardandoli anche da fuori, gli snodi del nostro essere al mondo. Un esserci che, e questo gli artisti ancora non l’hanno ben capito, è simultaneamente fisico, filosofico, psichico, biologico, civile, storico, chimico, etc. In questo preciso senso credo che la complessità del vivere sia stimolante, ma anche un muro contro il quale dobbiamo necessariamente sbattere ogni giorno.

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Le capita mai di litigare con se stesso?

Sì, ma poi mi calmo andando a fare due passi con un altro me stesso ancora.

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Cosa sta scrivendo attualmente?

Un secondo libro di aforismi, alcune poesie (in particolare sto finendo una raccolta di quartine alla quale tengo molto), alcuni testi teatrali, alcune musiche. Oltre ad alcuni saggi su scrittori, registi e pittori, che spero di poter raccogliere con altri usciti in questi anni in un volume unitario.

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Nasce a Biella. Che tipo di rapporto ha con la sua terra?

Nessuno in particolare: ci sono nato, ci vivo, ci lavoro entrando a contatto con molte persone spesso interessanti (faccio il bibliotecario, come ho detto), ma per varie ragioni praticamente tutto ciò che ho fatto di interessante l’ho fatto fuori dalla mia città. Inoltre vengo da una famiglia che non è radicata qui ma ci arriva da diverse regioni italiane.



SANDRO MONTALTO è Direttore Editoriale delle Edizioni Joker (
www.edizionijoker.com), presso le quali cura in prima persona collane di saggistica, poesia, aforismi e teatro.

Dirige le riviste «La clessidra» (rivista di cultura letteraria) e «Cortocircuito» (semestrale di cultura ludica).

È redattore delle riviste letterarie «Il Segnale» e «Poetry Wave» e consulente per l’Italia della rivista internazionale «Hebenon». Svolge inoltre attività critica su molte altre riviste nazionali e internazionali, tra le quali «Poesia», «Testuale», «Atelier», «Téchne», «Clandestino», «Cultura & Libri», «Bloc notes», «Confini», «Testo», «LN», «La Battana», «Pòiesis», «Pagine», «Alla bottega», «Punto d’incontro», «Golem», «Il Cittadino» e «Poiein»; scrive inoltre su volumi collettanei e su alcuni giornali («Corriere di Como», «Il Domenicale», etc.).

Fa parte della giuria di alcuni premi letterari, ed è giurato e direttore tecnico del premio internazionale di aforistica “Torino in sintesi”.

Queste le sue pubblicazioni in volume:

· Scribacchino, Joker, Novi Ligure 2000 (poesia)
· Compendio di eresia, Joker, Novi Ligure 2004 (saggi sulla poesia contemporanea)
· L’eclissi della chimera, Joker, Novi Ligure 2005 (aforismi)
· Pause nel silenzio, Signum, Bollate 2006 (poesia)
· Crolli emotivi, Lietocolle, Faloppio 2006 (prose; nuova edizione riveduta e accresciuta Cento Autori, Villaricca NA 2010)
· Esequie del tempo, Manni, Lecce 2006 (poesia)
· Beckett e Keaton: il comico e l’angoscia di esistere, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006, con una nota di Paolo Bertinetti (saggio; in corso di stampa negli Stati Uniti)
· Forme concrete della poesia contemporanea, Joker, Novi Ligure 2008 (saggi sulla poesia contemporanea)
· Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea, Joker, Novi Ligure 2008 (saggi sulla poesia contemporanea)
· Monologhi di coppia, Joker, Novi Ligure 2010, con prefazione di Paolo Bosisio (teatro)
· Un grosso apostrofo (FUOCOfuochino, Viadana 2010) (prose)
· Lentinsetti Pulcinoelefante, Osnago 2011 (con disegno di Tania Lorandi) (poesia)
· Ubu furioso, Edizioni del “Collage de ‘Pataphysique”, Sovere (BG) 2011 (con illustrazioni di Marco Baj) (teatro)
· Il segno del labirinto, Edizioni La Vita Felice, Milano 2011 (poesia)

Ha curato molti volumi, tra i quali Umberto Eco: l’uomo che sapeva troppo (ETS, Pisa 2009), Fallire ancora, fallire meglio. Percorsi nell’opera di Samuel Beckett (Joker, Novi Ligure 2009) e Temperamento Sanguineti (libro + DVD; Joker, Novi Ligure 2011; con Tania Lorandi).

Ha scritto alcuni testi teatrali. Ha vinto premi per la poesia, per la critica e per il teatro (Premio “Ernesto Calindri” 2008, con la commedia Monologhi di coppia rappresentata nel dicembre 2008 al Piccolo Teatro “Giorgio Strehler” di Milano.

Come musicista, dopo aver studiato pianoforte per molti anni, al momento studia Strumentazione per Banda presso il Conservatorio di Torino, e studia Direzione di Coro e Composizione privatamente. Dirige il coro “100% misto” di Biella. Ha composto musiche per pianoforte, per complessi cameristici, per banda e per coro.

Attivo nel mondo della ‘Patafisica, è Reggente del “Collage de ‘Pataphysique”.

Ha ideato alcuni libri-oggetto tra i quali l’Aforismario da gioco (Edizioni Joker, Novi Ligure 2010).

Ha pubblicato anche diversi scritti di argomento musicale e cinematografico su riviste specializzate («SuonoSonda», «Musicheria», «Costruzioni Psicoanalitiche», «Arts and Artifacts in Movies» etc.).

Svolge la professione di bibliotecario.

venerdì 9 settembre 2011

5^ Edizione Concorso Nazionale “diVerso in Verso” 2011

5^ Edizione Concorso Nazionale “diVerso in Verso” 2011 Comune di Nerito di Crognaleto

Poco dopo lo splendido e suggestivo scenario offerto dal letto del Vomano, fiume dalle verdi acque che riflette la vegetazione lussureggiante, in questo scorcio di natura sulle pendici del Massiccio del Gran Sasso D’Italia, passando per strade di altura, si arriva a Nerito. Ritrovo le meraviglie di un paese dimenticato dal tempo. Scosceso, il piccolo borgo con al centro la chiesa e la sua piazza accoglie calorosamente tutti coloro che sono intervenuti per partecipare all’evento promosso ideato e realizzato dalla bravissima poetessa Carina Spurio. All’interno della chiesa che sembra essere il posto più fresco in quest’ora di metà pomeriggio d’agosto, tra l’agitazione generale, ci accomodiamo nei banchi, tutti assieme, partecipanti, premiati, segnalati, vincitori del concorso, ospiti e semplici curiosi. Si avverte l’ansia per qualche personalità in lieve ritardo, lo stesso sindaco in elegante completo gessato, che apre la manifestazione . All’angolo, nel posto riservato solitamente al coro, a dirigere tutta la scaletta, col suo fare simpatico, solare, ed elettrizzante, la signora Spurio! Intravedo la bellissima presentatrice la signora Maria Rita Piersanti, in rosso, spicca davanti l’altare che si presta come palcoscenico alternativo, dando anche una certa sacralità alla cerimonia. La professionale e mai banale conduzione della presentatrice veterana del concorso, inizia con un saluto ai presenti e con la nomina dei segnalati che per merito e per novizia di intuizioni sono stati elogiati per i loro componimenti. Sono davvero ben diversificati e numerosi, uomini e donne di tutte le età, compositori geniali che incastrando le parole magicamente danno un significato nuovo a temi quali l’amore, il tempo, i mestieri, gli oggetti, le persone, le sensazioni, la natura… Notevole è il livello dei versi narrati dalle sapienti e calde voci di Ilario Lorusso, Cristina Trifoni e Letizia Palumbi. L’interpretazione e l’espressione che sono in grado di trasmettere rende tutto più sensuale. Ospiti graditi che arricchiscono il tono assolutamente culturale dell’incontro, sono gli scrittori Danilo Scastiglia con la sua nuova opera “Mosaico”, una raccolta particolare con toni erotici, Mattia Albani con” Il verso del coniglio. E’ la volta del famosissimo compositore violoncellista di fama internazionale, Enrico Melozzi, originario del teramano, giovane, cordiale e stravagante, onorato di partecipare alla festa ed essere accolto dalla sua gente dopo aver collaborato e conosciuto il maestro Morriconi, dopo aver fatto tanta strada, la gavetta per arrivare al vertice, soddisfatto racconta di se, delle sue esperienze, ricorda che è proprio il teramano la culla dei più grandi talenti della musica. Interessante e divertente è la vena comica che prende corpo nella gestualità e nella voce di Marko Ferrari, passato da Zeling. Anche lui teramano di origine, strappa sorrisi e diverte con le sue battute sui detti della sua terra! Sale sul palco il tanto atteso Dottore in Lettere e Filosofia il pregiatissimo Quirino Iannetti, che scusandosi per il ritardo dovuto ad un fraintendimento dell’orario, legge le motivazioni dei premi speciali catturando ancora una volta l’attenzione dei presenti. Infine si eleggono i vincitori del concorso, che ricevono la targa e l’attestato oltre la raffinatissima antologia, come ricordo di sensazioni di parole in versi, parole speciali che possono entrare a far parte della nostra vita, parole che possiamo far nostre, che sentiamo nel profondo. Fatti i ringraziamenti e le foto di rito, l’ansia è scemata, il clima è gioioso ed inizia il rifresco. Nonostante la chiesa sembrasse non contenere tutte le persone arrivate da ogni parte d’Italia per partecipare all’evento, nonostante l’audio non fosse dei migliori a causa di arrangiamenti dell’ultimo minuto, e nonostante il caldo, vedo solo visi sorridenti. Arriva anche la Banda che con le sue note incisive, dà proprio l’impressione di essere tornati indietro nel tempo, quando ancora si andava alle feste di paese e vedevi drappi e corredi in bella mostra sui davanzali in onore del santo patrono che passava in processione. Nella strada di rimpetto la chiesa, chiusa e riservata ai presenti, c’è il borgo con tavoli e panche proprio di fianco la bottega, e l’odore incalzante delle pennette al ragù si riversa nell’aria. Assaporare quel gustoso piatto all’aria aperta davanti alla roccia maestosa del Gran Sasso che sembra confondersi col cielo è uno spettacolo che davvero non ha prezzo! Scambiare chiacchiere e convenire con chi è stato premiato, con la stessa Carina, con gli artisti con chiunque abbia voglia di rivolgerti la parola, e comunicarsi il piacere di questa bella esperienza, fare domande a tutto tondo vista la curiosità che mi appartiene, è davvero gratificante. E’ stato proprio un indimenticabile pomeriggio, tutto all’insegna della natura, della cultura, del calore popolare, delle belle visioni, dei buoni sapori. E’ stato rivivere situazioni che il tempo non ha trasformato, di cui ci era rimasto solo il miele del ricordo. Grazie Carina e arrivederci alla prossima edizione!


Sandra Legnini





venerdì 29 luglio 2011

Davide Benincasa Intrecci di rime

Davide Benincasa

Intrecci di rime

Edizioni Gli Occhi di Argo, 2011

Intervista di Carina Spurio


“Intrecci di rime”, Edizioni Gli Occhi di Argo, è il titolo della sua raccolta poetica, comprende 13 poesie e l’introduzione a cura di Milena Esposito che definisce la sua poesia (tra terzine , endecasillabi con rima alternata e novenari con rima ripetuta), “acqua di musica”. Come è nato questo libro? E perché la scelta di questo titolo?

“Intrecci di Rime” nasce grazie al concorso “Nuovi Autori” indetto dal collettivo Occhi di Argo.Il bando del concorso prevedeva l’invio di una piccola silloge di poesie (almeno dieci e un massimo di venti). A pochissimi giorni dalla scadenza, ritagliando sdruciti scampoli di tempo, ho pazientemente intrecciato fili di parole per tessere alcuni componimenti. La raccolta è stata completata con l’inserimento di ulteriori tre liriche, che attendevano, in disparte, il momento per “uscire dal cassetto”. Le varie opere (tranne la quadrilogia sulle stagioni) sono impostate su tematiche appositamente slegate tra loro, abbracciano stili differenti e di diversa connotazione sono gli approcci alla poetica espressa. Dopo aver trasmesso la raccolta, una brevissima attesa e l’insperata notizia che la silloge era stata valutata positivamente dalla giuria. Riassumendo: questo libro è nato nell’intimità del silenzio notturno, dispensatore di stimoli poetici, come una sfida, soprattutto contro me stesso. Il titolo, deciso dopo molti ripensamenti, è una conseguenza logica della forma stilistica utilizzata: tutti i componimenti seguono volutamente una metrica, nella quale i versi, danzando in rima, s’intrecciano fra loro.


Lei è fine conoscitore della rima e della metrica in un’epoca in cui nella compulsiva frammentazione del verso giace l’essiccamento della parola messa in forma nelle espressioni imprevedibili della poesia racconto …

Onestamente non posso (…e non oso) definirmi “fine” conoscitore della rima e della metrica; preferisco asserire che si tratta di sbiadite reminiscenze scolastiche. Personalmente ho sempre avuto una predilezione per la poesia classica, dove, se non sempre vige la presenza della rima, il ritmo è comunque scandito da un metro preciso, che dona vita e connotati ben definiti al verso. Nelle mie opere ricerco continuamente la musicalità delle rime, costruendo versi seguendo una logica metrica; questa poi si evolve con il progredire stesso della composizione poetica.
La struttura di un componimento è l’elemento fondamentale, imprescindibile e inderogabile del mio modo di vivere e scrivere la poesia. A un primo approccio, comporre imponendosi vincoli metrici, sembrerebbe limitante e restrittivo. Ritengo, invece, che vedere la poesia sotto questa forma, è una sfida aperta, uno stimolo per lo scrittore, il quale esprime le sue emozioni, i suoi concetti, le sue sensazioni giocando con i vocaboli e si diverte a imbrigliare i suoi pensieri, muovendosi a ritmo tra paletti definiti.


Per lei la poesia è passione oppure libertà?

La poesia risiede in un lembo della nostra anima; nella sua intangibilità essa concilia passione e libertà allo stesso tempo. La poesia è ardente passione, un tramite per esternare le proprie sensazioni, le emozioni, le vibranti pulsazioni del cuore e tramutarle in parole; un mezzo di comunicazione per far conoscere se stessi e i propri ideali. La lirica è altresì libertà di sfogare questa passione, di lasciarla ardere senza soffocarla al proprio interno, per non scottarsi; è libertà di percepire, sentire ed esporre i sentimenti e gli ideali secondo una propria ottica, senza vincoli e compromessi; è libertà di plasmare a proprio piacimento l’astrattezza del pensiero attraverso la scrittura.


La poesia è sincera?

Probabilmente la poesia è sincera, poiché nasce come espressione del pensiero interiore del poeta, manifesta le sue sensazioni, le sue percezioni, le sue emozioni.
Se da un lato, quello passionale la lirica è sincera, come detto nella risposta precedente, è anche libertà di esprimersi senza accettare compromessi; questo m’induce a credere che, nella sua inconsistenza, la lirica sia espressione della predisposizione d’animo in un preciso momento e non in senso assoluto. Pertanto ritengo che un fondamento di verità stia alla base della “scultura poetica”. Il resto viene modellato a colpi di scalpello (più o meno delicati) dal poeta, che ne delinea, soggettivamente, le forme più esteriori in base allo stato di quell’istante.


“Vago, solingo, in un altro universo,/ alla ricerca di un lido migliore,/ ove cullare mi lascio; disperso:/ un giardino dove cogliere un fiore,/ per inspirarne la garbata aulenza/ […] […] Ma d’improvviso, nel mondo ripiombo,/ un sordo tonfo e ritorno al presente.”/ Da “Sogno di una fuga dal Mondo”…
La parola del poeta da dove viene?

Il poeta, ma ogni essere umano in generale, è un sognatore. La sua parola proviene dal turbinio di malcontento che ne lacera l’anima. Spesso la società, soprattutto quella moderna, frenetica, caotica, vuota d’ideali, ci veste di un abito che a noi sta stretto. Per non soffocare in queste vesti, per non cedere alla ripetitiva quotidianità, per estraniarci da ciò che non piace e fa soffrire, immaginiamo, sogniamo e fantastichiamo (vago solingo in un altro universo). Evadere dall’oppressione del quotidiano, ovvero fuggire dal Mondo, per non lasciarsi schiacciare dalla monotonia (alla ricerca di un lido migliore), riscoprendo le piccole cose (un giardino dove cogliere un fiore), insignificanti agli occhi di una comunità (o massa) spesso insofferente e insoddisfatta (per inspirarne la garbata aulenza).Purtroppo l’incanto svanisce (nel mondo ripiombo) e si deve tornare con i piedi in terra (un sordo tonfo), cercando la forza, il coraggio e le motivazioni per affrontare e per “vivere” la vita (ritorno al presente), con la piccola consolazione che mai nessuno potrà veramente toglierci la possibilità di sognare.



Quali sono i suoi poeti preferiti?

I miei poeti preferiti sono quelli studiati sui banchi di scuola. Su tutti, citerei Dante, Foscolo, Manzoni, Ariosto, Tasso. Scrittori che trovano nella metrica l’arte di fare poesia, maestri inarrivabili. L’elenco degli autori che mi piacciono (italiani e non) è comunque lunghissimo; ammiro anche tanti talenti “sconosciuti” dei quali ho avuto il piacere di leggere alcune opere all’interno di antologie poetiche.



Cosa legge un poeta?

Sinceramente, non so cosa legga un poeta; posso solo rispondere per me stesso.
Il risicato tempo libero non mi concede di dedicare il giusto spazio alla lettura e di questo molto mi rammarico, perché essa, oltre a essere fonte d’ispirazione, è la palestra ideale per tenere allenata la mente. Ad ogni modo, leggo di tutto, riviste storiche e scientifiche, romanzi di ogni genere, saggistica, ma anche fumetti, quotidiani e “settimane enigmistiche”… e, naturalmente, poesie, preferibilmente a pillole, per non farne indigestione. La poesia non deve essere letta con superficialità, non la si può fermare a un iniziale stadio epidermico, sul quale scivolerebbe via in pochi istanti, ma deve essere digerita, immagazzinata in uno strato più profondo, quello dell’anima. Perché ciò avvenga, la nostra mente deve essere “filosoficamente” predisposta ad accettare e capire il poliedrico pensiero poetico. Diverse antologie sono accatastate disordinatamente sul mobilio di casa mia, volumi contenenti decine, addirittura centinaia di opere, ma per apprezzarle appieno ne “ingerisco” solo alcune per volta, affidandomi alla sorte, sfoglio pagine a caso, mi soffermo su alcune, lasciandomi suggestionare dal titolo o dal nome dell’autore. Ho letto (e ogni tanto ripasso) i classici greci, l’Iliade e l’Odissea di Omero, le grandi tragedie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, la Teogonia di Esiodo; amo oltre misura la mitologia e il periodo storico a essa collegato. Non di meno, mi appassionano i capolavori latini come l’Eneide e le Bucoliche di Virgilio o la Metamorfosi di Ovidio. Adoro i grandi autori della letteratura italiana (Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Boccaccio, Foscolo, Manzoni), i libri che mi hanno fatto amare e mi hanno avvicinato alla letteratura.
Mi piace molto il romanzo-storico (Manfredi) e non disdegno il genere fantasy.



Quali sono stati gli autori che l’hanno influenzata - ispirata?

Apprezzo la letteratura in generale, e ogni genere letterario, poco o tanto, mi affascina; trovo ispirazione da tutto ciò che mi colpisce, indipendentemente dalle mode, dal periodo storico o dalla forma espressiva. L’ispirazione spesso la trovo leggendo opere di autori non famosi, comunque molto validi, comunicativi, scrittori che hanno pubblicato alcune poesie su pagine web o in antologie.
I grandi autori li ho citati prima, ma mi sento troppo distante da loro per affermare che mi hanno “influenzato”.



Cosa è per lei l’amicizia?

Infinite citazioni sono state espresse nei riguardi dell’amicizia. Alcuni poeti riuscirebbero a scrivere migliaia di versi su questo tema. Qualcuno si chiede se esista veramente, altri sostengono che sia un bene raro.
L’amicizia, per quanto facile sia da descrivere, è difficile da definire con esattezza, è impossibile delinearne i connotati per farle un identikit.
Ritengo sia impossibile fornire una risposta assoluta. In questo momento, per me di vaghezza, la descriverei “improvvisando poeticamente”, in terzine di novenari con rima ripetuta (ABC ABC):

è nel buio, un attimo di luce,
nel bisogno, una forte mano
che salda, afferra il tuo inciampare,

è il vento che nel cuore adduce
un vagar d’onde, e di lontano
s’ode aspro il balsamo del mare.

A parte tutto, di una cosa sono convinto: l’amicizia è un sentimento che dovrebbe essere coltivato con sapienza.



Che domande si fa più spesso?

Non mi pongo troppe domande, perché non saprei darmi risposta (e se avessi la risposta, non avrei necessità di farmi domande - perdoni per favore la banale disquisizione filosofica). Quindi i quesiti li serbo per gli altri. Dubbi infiniti, cosa voglio e cosa vorrei essere lo sapevo da bambino, certezze, queste, tramutate in remore nell’adolescenza e in rassegnazione nella maturità. Cosa mi riserva il futuro non lo voglio sapere, preferisco “assaggiare” ciò che mi viene offerto giorno per giorno, nonostante le delusioni, le amarezze e le sconfitte.



L’amore. Cos’è per lei l’amore?

Come per l’amicizia, un sentimento indefinibile, difficile da individuare, da non confondere con la semplice infatuazione, da non banalizzare come si fa nei rotocalchi e nelle riviste di gossip. L’amore teoricamente non può finire e non può esaurirsi. Non concordo con chi sostiene di essere stato innamorato, ma non lo è più. A quelle persone chiedo se sono sicure di essere state davvero innamorate.
Su quest’argomento, più assiduamente che sull’amicizia, i poeti hanno versato torrenti d’inchiostro (compreso il sottoscritto). Probabilmente è il tema più abusato nella poesia. Cosa esso sia realmente, non riesco a descriverlo; se ne sono mai stato veramente colpito, non posso saperlo. Comunque, “arrangiando” sul momento una sestina di decasillabi con rima baciata (AABBCC), se ne potrebbe abbozzare una traccia:

Dell’amicizia lo sconfinare
diventa amore; il lento ancheggiare
sullo sfondo sabbioso del cielo
nel trasparire di un molle velo.
Un filo di rossetto sbavato
da un bacio. E il vento… soffia, ostinato.



Il suo film preferito?

I miei film preferiti sono: “Lo chiamavano Trinità” e il suo seguito “Continuavano a chiamarlo Trinità”. Rispolverano bei ricordi. Li guardai per la prima volta da bambino; tutta la famiglia (genitori e i due fratelli), davanti alla televisione (all’epoca in bianco e nero) per condividere serenamente momenti piacevoli, ormai un po’ troppo lontani. Il mio cuore nostalgico rivolge continuamente uno sguardo al passato; ancora oggi, dopo anni (e nonostante l’ennesima visione), li rivedo volentieri. Sono amante del cinema, in particolare dei film d’azione; un elenco delle mie pellicole preferite sarebbe lunghissimo.


Che rapporto ha con internet?

Con internet ho instaurato un rapporto di dipendenza quasi assoluta. Lo utilizzo giornalmente per informarmi, per leggere, per scrivere, per contattare gli amici, per visionare la posta elettronica, per investire in borsa, per assecondare le mie passioni, per incrementare la mia collezione di dischi musicali, per conoscere altre persone, anche lontane. E’ un modo per rilassarmi e per distendere i nervi.
Internet è il mezzo d’informazione e comunicazione che ha rivoluzionato la società e che ha aperto al Mondo le porte su una nuova visione della vita, un ponte che unisce culture diverse, un portale spazio/temporale che riduce le grandi distanze. Spero che un giorno non lontano possa diventare l’arma per superare le avversità e le diversità socio-razziali.



Cosa sta scrivendo attualmente?

Al momento sto scrivendo pochissimo, qualche stentato componimento poetico per partecipare ad alcuni concorsi. Le idee sono molteplici, davvero tante, ma le capacità, il morale, gli stimoli e soprattutto il tempo scarseggiano…

…il tuono / della poesia vibra e scuote la penna; / sul candido foglio, riversa il suono / della scrittura, che ancora tentenna. / Nero inchiostro sporca la pergamena, / ma solo sterili parole – vuote – / il rasentare accidioso avvelena / il nido dell’anima di ombre – ignote –

Questi versi, tratti da “Vuota ispirazione”, rappresentano al meglio il mio periodo attuale.



Nasce in provincia di Modena e vive con la sua famiglia nel Comune di Maranello. Che tipo di rapporto ha con la sua città?

Di Maranello, grazie all’automobilismo, si sente parlare spesso sui giornali sportivi. Più precisamente abito a Torre Maina una frazione, fino a pochi anni addietro definita “di campagna”; sono sentimentalmente molto legato al mio paese, dal quale ogni tanto sono lontano. Il territorio, prevalentemente agricolo, è di natura collinare; si possono trovare pace e tranquillità e ci si può ancora svegliare grazie al canto di un gallo (…solo uno non di più ormai) o di una tortora.
Non partecipo molto alla vita comunitaria, preferisco godermelo dal punto di vista paesaggistico, nella solitudine, distante dalla sterilità di inutili argomentazioni. Essendo un podista ho percorso centinaia di volta tutte le strade; lo conoscevo molto bene, case, alberi, animali. Ora, è molto cambiato.


Lavora come impiegato, attività che condivide con la passione per il podismo e l’allevamento dei suoi amati gatti Nebelung. Riesce a trovare il tempo da dedicare alla scrittura?

Il tempo è come acqua raccolta con le mani, la si sente scivolare via, ma per quanto ci si affanni, non è possibile trattenerla. Ci voltiamo indietro, in apparenza per un attimo, ma quando torniamo a guardare avanti ci si accorge che è trascorsa una vita. Purtroppo non riesco a trovare il tempo da dedicare alla scrittura.
Il lavoro erode la maggior parte della giornata, le ore più belle. L’allevamento dei gatti (seppure fatto con piacere) richiede anch’esso la sua fetta di tempo. Il podismo, al quale mi dedico tutti i giorni (senza pause), non solo consuma le immediate ore del “dopo lavoro”, ma logora anche il fisico e la mente. Qualche minuto lo devo spendere per le “faccende” quotidiane e altri momenti (che vorrei non finissero mai) li dedico alla famiglia. Pertanto il mio approccio alla scrittura è limitato alle sole ore notturne (…e avviene in condizioni psico-fisiche a dir poco scadenti).

P.S: rispondo a questa domanda all’una di notte, dopo una giornata lavorativa lunghissima, dopo essere passato dal veterinario e dopo aver fatto un allenamento molto pesante.


A fine intervista vorrei dedicasse alcuni suoi versi ai nostri lettori …

…improvvisiamo appositamente qualche nuovo verso, riguardo un tema molto attuale… in terzine di decasillabi con rima ripetuta (ABC ABC)

Scontata nell’ordire proclami
su vesti d’organza trasparenti
l’indifferenza morde feroce.

Foglie attendono gialle sui rami;
tremule, nell’agonia dei fendenti
d’autunno, parlano sottovoce.

…ai lettori lascio l’interpretazione di questi versi, con la speranza che possano essere messi in pratica nella vita quotidiana.


Per finire, un doveroso ringraziamento a Milena e Francesco di Occhi di Argo.
Un grazie di cuore alla poetessa Carina Spurio per il tempo a me dedicato e per aver stimolato la mia sopita creatività con le sue domande.


Davide Benincasa nasce in Provincia di Modena il 21 Marzo 1975. Da sempre risiede nel Comune di Maranello, con la famiglia. Lavora come impiegato, attività che condivide con la passione per il podismo e l’allevamento dei suoi amati gatti Nebelung.
Tra gli estenuanti allenamenti e i vari impegni quotidiani, riesce a ritagliarsi qualche momento da dedicare alla scrittura. Nel 2010 inizia a partecipare ai suoi primi concorsi e, a sorpresa, arrivano diversi riscontri positivi, soprattutto in campo poetico.
Tra i risultati più importanti può annoverare: l’inserimento tra dei dieci vincitori del premio “Una poesia nel cassetto” 2010 (Flanerì), vincitore ex-aequo di “Una poesia per il Quadro” (MB edizioni) e la selezione per l’esposizione del collettivo “Decadence Suite”.
Altre soddisfazioni sono arrivate da selezioni per la pubblicazione nelle antologie “La biblioteca d’Oro” (Unibook), “Il Suono del Silenzio” (TA.TI Edizioni), “Il Federiciano”, “Tra un fiore colto e l’altro donato”, “Poesie del Nuovo Millennio” (Aletti Editore), “E’ solo poesia” (GDS Edizioni), “Calliope Regina” (Unibook).
Infine ha avuto il piacere di conoscere il collettivo di “poesiaèrivoluzione” ed essere selezionato per la pubblicazione sulle antologie “La Notte” e “La Maschera”, con le poesie “Soltanto, attendo La Notte” e “Dietro la Maschera”. Altre pubblicazioni in antologie di racconti e fiabe. Recente la selezione di una silloge poetica per il concorso “Nuovi Autori”, indetto al collettivo “Occhi di Argo”.