martedì 24 giugno 2008

Teramo. Carina Spurio

tracciati di cultura, tradizione e società
Buono e Bello
n.07_giugno 2008

Genio e follia
di Carina Spurio

Molti personaggi geniali nel corso della loro esistenza hanno incontrato la follia. In varie culture ed epoche storiche si è spesso riscontrato un legame tra lo stato maniaco-depressivo e il temperamento artistico e per via di queste testimonianze, tramandate nei secoli, “arte e psicosi”, hanno formato un connubio di grande fascino. Sia l’Arte che la Psichiatria hanno un punto in comune; le esperienze emotive. Se la psicosi corrisponde ad uno stato di perdita, l’arte permette alla mente di accedere nel luogo in cui la creatività è libera di manifestarsi ed esprimersi. Arte e follia sembrano coincidere nel momento in cui la sofferenza viene dominata dalla creatività e l’anima si rivela attraverso l’espressione artistica; forse la follia spiega le ali del genio?
Nel soggetto psicotico avviene una graduale perdita di contatto con la realtà, un distacco che in alcuni casi pregiudica la capacità di comunicazione. Quando la logica di pensiero e quella di comunicazione si alterano, la continuità tra passato e presente viene compromessa.
Il cervello di fronte alla realtà si modifica, la cambia, e il soggetto che soffre di psicosi confonde la realtà esterna con quella interiore dando origine ad un rapporto diverso con la vita concreta. L’Arte, sembra l’unico processo in grado di portare alla creazione di nuove realtà, di stimolare un canale di comunicazione in grado di contenere nuove percezioni nell’innocenza di mani intrecciate che scorrono su forme e colori tra realtà e fantasia. La psicosi è un vuoto; l’impercettibile pensiero dominante di un’assenza che nuvole dense all’orizzonte colorano di grigio. Parole e suoni sono lontani. Nella trappola del suo sentire, la malattia mentale, altera le capacità percettive ed emotive dell’artista e interferisce sull’espressione pittorica, musicale, letteraria. Il soggetto colpito, sente di non appartenere a se stesso e inizia a subire influenze e persecuzioni di forze esterne ed il treno della vita, viaggia su un “doppio binario”, pervaso da deliri e popolato, in alcuni casi, da individui fantastici. La relazione tra creatività e follia affascina e inquieta gli esseri umani da secoli, attraversa epoche storiche nell’occidente, si attenua nel Medio Evo, ritornerà attuale nel Rinascimento, subirà ancora trasformazione nel Romanticismo, quando, arte e psicosi sembrano ospitare il genio della sregolatezza che tormentò artisti come Michelangelo e Caravaggio.
L’artista è imprigionato da un pensiero fisso che lo esclude e quel vuoto dentro, si dilata a dismisura, tanto, da colmare l’universo.
Non sente più nulla fuori di sé. Dentro di sé, cattura l’angoscia, che diventa la condizione per creare la formula, il colore o il suono imprevisto.
“Genio e follia” sembrano un binomio ideale per produzioni creative, vivono ancora intrecciati nella leggenda del genio incompreso. Fu durante il Positivismo, reazione al Romanticismo, che il legame tra genio e follia verrà valutato in maniera diversa. In quel periodo, Cesare Lombroso (Antropologo, criminologo e giurista italiano, 1835 - 1909), cercò una relazione tra il genio, il folle e il criminale. Le potenzialità all’eccesso sembrerebbero ereditarie. L’ereditarietà per alcune malattie è un dato riconosciuto. Sulle teorie di Lombroso si intersecano gli studi di uno psichiatra inglese H. Ellis. Una sua statistica, condotta su 2000 personaggi famosi britannici, confermò il 5% di psicosi, confutando le teorie di Lombroso. Altri studi e statistiche compiuti successivamente tra la Germania e l’Islanda confermarono un legame tra creatività artistica e disturbi schizofrenici e tale associazione si riproduceva anche sui discendenti.
Sembra chiaro che nel dolore della perdita, si attiva la fantasia. Si crea. Si notano cose insospettate. Tutte le porte sono aperte. E l’artista racconta la sua storia personale mentre fugge dalla realtà esterna e se la malattia è un disagio, il suo vuoto, diventa un terreno fertile.
La storia ce lo racconta con la creatività forsennata di van Gogh, l’allucinata disperazione di Edward Munch, in cui, genio e follia inventano un cammino su un percorso che unisce due mondi, quello normale e quello diverso.
Molti personaggi famosi nel corso dei secoli, sono stati preda di varie patologie psichiatriche (politici, grandi scienziati, pittori, scultori, musicisti, scrittori, registi e poeti) ad iniziare dalla depressione all’asocialità, dall’anoressia alle ossessioni, ed hanno trovato nella follia la spinta per creare. Dunque "l'Opera contiene tutte le contraddizioni dell'essere, le stesse possono appartenere al mondo intero". Questa affermazione sembra contenere la catarsi delle emozioni aristoteliche, secondo cui, l'opera teatrale, esercitava potere sullo spettatore perchè scioglieva in quest'ultimo le tensioni accumulate nel quotidiano. Se ne deduce che l'arte può ricongiungerci con l'altra parte di noi e illuminare i lati bui della mente umana.


In “De Tranquillitate Animi” Seneca afferma che nessun grande ingegno fu mai senza una mistura di follia.

Il discorso – spiega il Dott. Gianferruccio Canfora, Direttore del centro di Igiene Mentale di Teramo- va definito. Se ci riferiamo alla “follia” in quanto “malattia” il discorso cambia perché nella malattia il pensiero non è logico ma alterato. Se invece la “follia” è intesa come pensiero diverso dal razionale e non ad alterazioni della forma del pensiero questo ci può ricondurre all’intelligenza creativa.


Genio e follia sembrerebbero proporzionali negli individui: chi ha più ragione potrebbe avere anche più follia? La domanda sembrerebbe giustificare la compresenza di genio e follia nelle biografie di molti artisti e scienziati.


Non c’è mai una sola forma di intelligenza ma tante. Di solito noi ci riferiamo all’intelligenza logico-razionale ma ce ne sono molte altre, ad esempio, quella analitica, legata alla capacità di scomporre e di esaminare, quella pratica, che si riscontra nell’organizzazione e quella creativa; la capacità di intuizione, immaginazione e di produrre novità. Se quella che noi chiamiamo follia non è altro che l’intelligenza artistica , una forma di pensiero analogico,questa allora non è malattia , che è intesa invece intesa disgregazione delle funzioni sia logico- matematiche che creative.


Per quanto la riguarda; addentrarsi nei meandri della psiche umana la ritiene una fortuna?

La considero una fortuna. Sono legato alla mia professione che ho scelto e che sicuramente può essere pesante solo relativamente alla routine che essa comporta.

La nostra epoca è narcisista, individualista, paranoica. Siamo tutti invitati a godere degli stessi oggetti, ci isoliamo, ci rifugiamo nei riti del nostro malessere. L’inadeguatezza alle condizioni standardizzate può corrispondere ad un disagio?


No. Non ritengo sia l’inizio di un disagio, anzi, la ribellione rispetto alla standardizzazione delle proposte comunicative del mondo moderno è in realtà l’espressione di una sanità, è la ricerca di un qualcosa in più rispetto a ciò che la consuetudine ci propone. Se l’uomo si appiattisce entra in un mondo di asfissia ed una persona sana allora ne sente il disagio e va alla ricerca di qualcos’altro. La ricerca di altro è la ricerca normale e umana della conoscenza. Ritualità e consuetudine sono forme di controllo, ci si adegua per paura o per eliminare l’angoscia ma dopo, manca sempre qualcosa.