mercoledì 28 settembre 2011

Il canto del cigno rosso di Federica Ferretti



Il canto del Cigno Rosso, è molto più di un libro “entusiasmante”, è un vero e proprio esperimento artistico, dove gli occhi si apprestano ad ascoltare parole colorate di rosso cardinale, poi d’autunno, di bianco candido e d’azzurro.
E' un romanzo epistolare, in cui molto spesso le parole si trasformano in pura poesia...nel raccontare un amore divenuto impossibile solo nello spazio e nel tempo.
Il Cigno Rosso cioè naviga in un mare di emozioni, le quali a mano a mano assumono una triplice natura, quando consentono ai sensi non solo di sovrapporsi, ma addirittura, di intrecciarsi in un legame quasi indissolubile, ed alle pagine, di diventare autonome rispetto al tutto.
E’ così che assume i contorni di un’opera cinematografica: colpisce infatti, per lo scambio quasi sinestetico di immagini e sensazioni di un Amore che non smette di vivere ma anzi si rinnova ad ogni pagina.
I Disegni che vi sono stati distribuiti, compenetrano le frasi, gli uni compenetrano le altre, tessendo le fila di un discorso che non sarà più possibile interrompere.
La scelta di utilizzare la strategia comunicativa dell’epistola sentimentale, serve per puntare gli occhi addosso alla gente il cui cuore palpita ogni giorno delle sue stesse emozioni. Elisa, la protagonista, incarna ognuno di noi, le vicissitudini che siamo costretti a subire, fino al dolore di un bacio mai dato a chi ci ha lasciato inavvertitamente, interrompendo troppo presto un colloquio di speranze.
Il Cigno si colora di Rosso nel fornire sempre un nuovo spunto, o più semplicemente il pretesto per guardarsi dentro, fino in fondo.
Canta ossessivamente quell’Amore, pur nella sua impalpabilità, perchè sa che rivivrà ad ogni ora, in ogni sguardo, in ogni battuta, trasformandosi nel pretesto per rincominciare una vita tutta nuova, per sfruttare la seconda possibilità che non ci saremmo mai dati.


L’autrice Federica Ferretti commuove mentre narra di un mondo interiore plurisfaccettato, poliedrico che rivive a sua volta nella quotidiana follia dell’esistere. Federica Ferretti, nasce a Teramo, 34 anni fa: è laureata in Scienze Politiche e Discipline Musicali, ama la contaminazione tra i linguaggi, per scoprire le mille sfaccettature della vita.
Direttore Editoriale di Echi da Internet, Fairie, il Mondo dell’Incanto e della nuova collana Radici, la letteratura Abruzzese, presso la medesima Rupe Mutevole, promuove una letteratura del tutto spontanea, viva, dinamica, specchio della cultura multimediale sempre più diffusa, per dare inizio ad una nuova era letteraria che però vuole conservare intatto il suo legame con i propri miti e Radici Culturali.

lunedì 19 settembre 2011

Maria Gabriella Giovannelli di Sandro Montalto



Intervista a Maria Gabriella Giovannelli sul romanzo Il campo dei colchici
(di Sandro Montalto)

Gentile Maria Gabriella Giovannelli, eccoci a parlare un poco del suo romanzo Il campo dei colchici (Edizioni Joker, Novi Ligure 2009). Come prima cosa, ci può spiegare la scelta di un titolo così particolare, con l’adozione del termine insolito “colchici”? Nella sua prefazione Pire Luigi Amietta suggerisce che lei abbia voluto richiamare l’ambiguità di un bulbo dal quale si può spremere sia uno zucchero sia un potente veleno.


Il titolo di un romanzo è sempre molto importante, sia perché deve stimolare il lettore, che si trova di fronte ad un’ampia offerta di testi, a soffermarsi su quel libro e a leggerne la quarta di copertina, se non altro per curiosità; sia perché in qualche modo deve introdurci alle vicende narrate. In Il campo dei colchici, la cui storia è ambientata sulle Dolomiti, i personaggi chiave hanno come una doppia personalità, un’ambivalenza. Tendono a svelare la parte migliore di sé, mentre esiste in loro un altro aspetto della personalità, un lato oscuro, che spesso rimane nascosto fino al momento nel quale si rivela in maniera drammatica.
Il colchico è un bellissimo fiore che cresce sui prati delle Dolomiti, creandovi vivaci macchie di colore che vanno dal rosa tenue al lilla. Se da un lato questo fiore è molto bello da vedersi, dall’altro ha il bulbo (la parte nascosta di sé) che può essere mortalmente velenosa. Ecco quindi l’aspetto allegorico del titolo.

Il tema del libro, la violenza privata (una violenza che trascina con sé altre persone, come in un vortice), il senso di colpa e, come si dice oggi, lo “stalking”, non è ovviamente di quelli che si scelgono per caso. Quali sono le ragioni di tale scelta? Inoltre, vorrei sapere quale è il suo atteggiamento di fronte ai temi sociali in generale nell’opera letteraria e teatrale.

La sua è una domanda che prevede una molteplicità di risposte, che però hanno una base comune: l’attenzione al sociale. La mia formazione ha seguito due percorsi preferenziali, quello teatrale che mi ha visto diplomarmi attrice presso l’Accademia dei Filodrammatici di Milano e quello di giornalista e scrittrice. Questi due aspetti della mia formazione spesso sono andati avanti parallelamente e si sono reciprocamente influenzati. Io sono convinta che uno scrittore di testi drammaturgici come di romanzi debba occuparsi anche del sociale e portare gli individui a riflettere su tematiche, forse molto lontane dal loro modo di vivere, ma che esistono e coinvolgono un numero elevato di persone. Seduta su di una poltrona di un teatro a guardare una piéce, o nella tranquillità della propria casa con un libro in mano, la gente deve essere stimolata, in modo alternativo a quello proposto dai media, a riflettere su ciò che accade magari al vicino di casa. Una delle tematiche che in primis come donna, ma fondamentalmente come essere umano, mi hanno da sempre interessato ed emotivamente coinvolto, è quella della violenza sulle donne in senso lato, presente nel mondo. Ho voluto però dar voce ad un tipo di violenza che non lascia segni visibili sul corpo, ma che ferisce altrettanto nel profondo, la cosiddetta “violenza psicologica” i cui effetti a volte sono devastanti. Lo stimolo maggiore a trattare questo argomento mi è venuto dal fatto che è un tipo di violenza estremamente difficile da dimostrare. Bisogna portare le persone “dentro al problema”, utilizzando tutti i mezzi possibili, compresa la letteratura.

Mi hanno colpito non solo il tema principale ma certe osservazioni quasi en passant come quella, all’inizio del romanzo, circa l’assenza di solide basi famigliari come causa in qualche modo della disgregazione sociale, o come quelle circa la necessità di recuperare un ritmo più lento che ci permetta di ascoltare ed osservare.

La mancanza di solide basi familiari che caratterizza molta gioventù di oggi; il fatto che l’individuo deve cercare di recuperare un ritmo di vita meno frenetico e porsi degli obiettivi, ma anche dei limiti, per poter sopravvivere: elementi che lei ha trovato tra le righe del mio libro, sono precise constatazioni sulla realtà di oggi. Certo ogni individuo deve cercare di dare un senso alla propria vita e può farlo solo se si ferma per un attimo, se ascolta se stesso e si accorge del mondo che lo circonda.


Mi sembra necessario anche chiederle le ragioni dell’ambientazione: leggendo la quarta di copertina colpisce, infatti, l’apparente contrasto tra la vicenda tinta di violenza e sopraffazione ed il paesaggio delle Dolomiti che si penserebbe custode di una particolare serenità.


Il libro permette anche di scoprire un pezzo d’Italia di rara bellezza, un territorio divenuto di recente patrimonio dell’umanità. Le Dolomiti diventano “l’elemento scenografico” all’interno del quale si svolge la vicenda del romanzo. È una terra che conosco bene poiché mio padre, grande amante della montagna, me l’ha fatta scoprire ed amare fin da quando ero adolescente. Tale ambientazione mi ha permesso di inserire all’interno del libro “momenti lirici” che hanno una doppia funzione: quella di far meditare e in certo modo rasserenare l’animo del protagonista maschile Paolo e quella di alleggerire la tensione della trama condotta sul filo del thrilling. Aver ambientato una storia che ha risvolti drammatici in un contesto di apparente tranquillità ha inoltre lo scopo di sottolineare che dietro una facciata di apparente serenità spesso accadono fatti inimmaginabili e la cronaca nera continuamente ce ne dà conferma.

La sua attività più nota è quella di operatrice nel mondo del teatro: docente, attrice, drammaturga, regista. Viene naturale chiedersi se questo romanzo sia frutto di alcune esperienze maturate in questo campo oppure è una esperienza in qualche modo a lato, seppur ovviamente connessa al resto. Non c’è dubbio infatti che una persona con le sue esperienze abbia un modo preciso di trattare i personaggi e la storia, però non si può dimenticare che teatro e prosa sono due modalità espressive radicalmente diverse. Ho notato, ad esempio, che le battute dei dialoghi presenti nel romanzo non hanno il ritmo del parlato o del teatro contemporaneo, bensì un andamento più lento e rilassato, più piano, direi quasi più consono alla narrativa e al teatro della prima metà del Novecento. Esistono però anche alcune espressioni curiose, come (p. 52) «nuove quinte di montagne»; altrove (p. 71) tra i pochi libri osservati nella libreria di uno dei protagonisti viene citato un Pirandello. Altrove ancora, (p. 77) maliziose citazioni larvate: «tra due file ininterrotte di alberi», ovviamente da Manzoni (un riferimenti forse non solo letterario ma anche schiettamente milanese, o almeno lombardo?).

Come le dicevo, la mia attività legata al teatro, negli anni, è andata pari passo con quella legata alla scrittura drammaturgica e letteraria. Sono evidentemente differenti modi espressivi. In un caso si deve tener presente che il testo deve poter vivere su un palcoscenico e relazionarsi con l’utente finale che è lo spettatore. Questo non bisogna mai dimenticarlo. Nella scrittura drammaturgica non possiamo quindi narrare una storia, descriverla; dobbiamo invece, attraverso il dialogo o il monologo, far vivere e mettere in relazione reciproca i vari personaggi in tutta la loro globalità (azioni, pensieri, gesti ecc). Il romanzo permette invece di raccontare una storia, di inserire all’interno di una trama momenti descrittivi legati al paesaggio, all’ambiente ecc. È pur vero tuttavia che anche in un romanzo, perché un personaggio sia credibile, bisogna saperlo “far vivere” nella mente del lettore, in modo che il lettore diventi quasi “partecipe della storia” e si lasci condurre fino alla fine del romanzo. Quando inizio a scrivere un racconto o un romanzo quindi non solo cerco di strutturarne la trama in modo che coinvolga il lettore e lo stimoli a proseguire nella lettura, ma cerco di immaginare e di vedere con la fantasia ogni “singola scena”, di rappresentarmela davanti come se dovessi dirigere una regia. In tal modo vedo i personaggi muoversi, interagire e riesco a valutarne meglio la credibilità e la spontaneità. La preparazione teatrale, ricevuta in Accademia, mi ha educato a conoscere e scoprire a poco a poco il personaggio del quale mi sto occupando, cercando di conoscerlo nel suo profondo. L’osservazione dei “tipi umani” nella realtà della vita aiuta a riproporre poi quel tal personaggio sulla realtà scenica o narrativa. Ecco quindi che le due formazioni ricevute si sono sempre integrate a vicenda, rispettando le differenze proprie di ogni campo della creatività.
La sua osservazione inerente alle citazioni, ad alcune “espressioni curiose” ecc apre un discorso più ampio, inerente alla formazione di uno scrittore. Io credo che essa avvenga attraverso un procedimento direi di “metabolizzazione interiore”, dei vari testi classici e non che il soggetto legge; una specie di “trasformazione chimica ed energetica” che dovrebbe sfociare, a mio parere, in un modo di scrivere personale e originale. A volte parte del “metabolizzato” può affiorare in modo quasi inconsapevole e del tutto naturale.

Mi incuriosisce anche la scelta di narrare in prima persona, e dal punto di vista di un personaggio maschile.

Per quanto concerne l’io narrante maschile in un contesto che affronta una situazione di violenza sulle donne, vorrei precisare che questa è stata una scelta con uno scopo preciso. Io penso che bisogna affrontare tematiche forti anche senza far credere al lettore che lo si sta facendo, ossia portandolo per mano dentro al problema. Ecco perché l’io narrante non è una donna, ma un uomo: un uomo che racconta una storia di violenza, scoprendola lui stesso, insieme al lettore, per gradi, come ricomponendo un puzzle i cui pezzi si sono mescolati. L’io narrante poi è anche una figura maschile positiva, pur con tutte le incertezze e contraddizioni che contraddistinguono l’animo umano: una figura positiva che si contrappone a quella violenta con la quale è abituata a convivere la protagonista Anna. Certamente entrare nel modo di pensare di un uomo ha comportato da parte mia lo sforzo di cercare di capirne la psicologia, che è ben differente da quella femminile.

Lei ha pubblicato anche un volume di poesia, intitolato Voci. Come inserisce questa uscita, ormai di venti anni fa, nel suo percorso? Ritiene che il passaggio dalla poesia alla prosa significhi un mutamento del suo punto di osservazione?

Quando ho scritto Voci stavo attraversando un periodo molto particolare della mia vita: per la prima volta, ancora giovane, mi trovavo a fare i conti con “il dolore” e a cercare di comprenderne il significato. Il libro è dedicato a mia madre, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita immobile in un letto: la mente era lucidissima, ma la sua unica possibilità di comunicazione con il mondo esterno era lo sguardo e il movimento della mano destra. Avevamo stabilito una specie di codice di segni che comprendevamo solo noi. Ritengo che solo attraverso la poesia si possano “condensare e far vivere” le emozioni in una parola. Nella dedica a mia madre scrivo «Oceanici voli di rondini / nell’immenso / stupore di un attimo». Riporto la citazione di Pier Carpi nella prefazione che dice: «Poesie come frammenti di universo, poesie come invito a cantare i momenti della vita, al di fuori del tempo, in quel punto divino dove passato, presente e futuro non conoscono distinzioni, ma sono una cosa sola. La luce perfetta della conoscenza». Già prima del libro di poesie Voci avevo scritto racconti e un breve romanzo, quindi “l’esperienza” della poesia non rappresenta un punto particolare di osservazione della realtà, ma è rimasto sempre per me nel corso della vita un momento unico per esprimere intense emozioni.

Leggendo il romanzo una delle cose che mi hanno colpito è la rapidità di certi passaggi, che non esiterei a definire cinematografica, e la presenza delle cosiddette “spie narrative”, soprattutto quelle utili fin dalla prima pagina a suggerire il clima e i rapporti psicologici presenti tra i protagonisti: mezze frasi, toni, occhiate. Ritiene che nel suo romanzo anche l’ottica cinematografica abbia avuto un ruolo? E, in generale, come si rapporta una donna di teatro e narratrice con il mondo del cinema?

Certamente sì. Un regista sia che si trovi davanti a un palcoscenico o dietro ad una macchina da presa, (mi riferisco naturalmente a film d’autore, che spesso sono la trasposizione di romanzi d’autore, non certamente al cosiddetto “cinepanettone”), sa che per interessare il suo pubblico deve introdurlo nella vicenda “dicendo e non dicendo”, a volte facendogli credere che le vicende vadano in una certa direzione mentre invece poi vanno in tutt’altra. Si seminano indizi lungo il percorso. La descrizione di paesaggi o di stati d’animo poi, che la cinematografia riesce ad evidenziare attraverso la cinepresa, vengono comunque da me ripresi nella narrazione, nei momenti in cui indugio sulle bellezze del territorio o su certi aspetti del carattere dei personaggi. Recentemente mi hanno detto che il libro potrebbe diventare una sceneggiatura cinematografica. Mi farebbe piacere anche se sono convinta che le immagini toglierebbero al fruitore un elemento che solo la lettura di un romanzo può dare: la possibilità di diventare “complice” dell’autore nel profondo della propria anima.

La ringrazio per queste considerazioni. La domanda di rito è: quali sono i suoi progetti per l’immediato, e per il futuro?

Teatrali e letterari. Non amo fare anticipazioni su ciò che sto facendo fino a quando i progetti non si siano concretizzati (è anche questo un retaggio che mi deriva dal mondo del teatro); comunque posso anticiparle che sto completando un secondo romanzo e di pari passo una serie di racconti. Data la mole del lavoro sono progetti che in parte si realizzeranno in un futuro abbastanza immediato e in parte slitteranno tra la fine del 2011 e il 2012.

Serena Bono di Carina Spurio



Serena Bono

Origine e diffusione del vampirismo


– Il doppio volto della donna: angelo o demone?

Roma, Albatros Editore,
2010, pp. 112
IBSN: 9788856727999

Intervista di Carina Spurio

“Origine e diffusione del vampirismo” è il titolo del suo saggio pubblicato dal Gruppo Albatros nel quale lei cerca di approfondire il tema del vampirismo servendosi di un’ottica antropologica ed esegetica …
Sembrano due parole tanto difficili ma è semplicemente un'analisi dell'uomo, delle sue caratteristiche e del suo comportamento all'interno della società in cui vive attraverso lo studio e l'interpretazione di testi che ne trattano. Quelli presi in esame sono di carattere religioso, storico, artistico, antropologico e letterario. Si parte sin dalla Genesi in cui appare uno dei primi demoni femminili, Lilith la prima moglie di Adamo, per poi soffermarsi su credenze e miti di antiche popolazioni, sulle testimonianze storiche dei primi casi di vampirismo fino ad analizzare gli aspetti letterari di questo mito esaminando in particolare, anche attraverso l'iconografia, i personaggi femminili di due romanzi ottocenteschi quali Carmilla di J. S. Le Fanu e Dracula di B. Stoker.

Da lungo tempo si parla di vampiri che da secoli si mimetizzano, come lei scrive, “nei tessuti sociali a incarnare le paure”. Tra le sue teorie e ipotesi leggo che ne sono state avanzate cinque: l’origine universale o preistorica, l’origine sciamanica, l’origine orientale, l’origine europea antica o medioevale e l’origine moderna …
Montague Summers, celebre vampirologo, ha sostenuto la teoria dell’origine universale del vampiro. Siamo nel 1928 “La tradizione” dichiarava “è mondiale e di un’antichità senza data”. Le prove a questa teoria si trovano nella cosiddetta paura dei morti. Giacché la morte ha avuto inizio con la vita, sin dall’inizio della storia le popolazioni si sono trovate di fronte all’ignoto, al non conosciuto e da qui sono nati particolari metodi di sepoltura, particolari credenze. Questa teoria è stata sostenuta anche da un’altra famosa studiosa dell’argomento, Ornella Volta. Questo timore verso i defunti possiamo trovarlo sin dalla preistoria, e in tutte le parti del mondo.
Secondo alcuni autori, la presenza del vampiro e di alcuni personaggi affini, nasce in un preciso ambiente religioso-culturale, e cioè quello dello sciamanesimo. L’area territoriale che questa identificazione ricopre è vastissima e va dal mondo celtico alla Siberia, dagli indiani d’America del Nord alla Germania precristiana, alla Scandinavia e all’Europa orientale.
Personaggi simili al vampiro erano già stati segnalati in oriente da Marco Polo, ma solo nell’Ottocento è iniziato uno studio sistematico del vampirismo nel mondo orientale. Possiamo trovare testimonianze provenienti dalla Malesia, dall'India e dalla Cina. In queste zone sono tante le credenze in spiriti malevoli succhiatori di sangue.
Un' altra teoria è quella che farebbe risalire l’origine del vampiro all’ambiente culturale greco e romano o al periodo medievale in Transilvania, o comunque nei paesi dell’Est europeo. Vero è che la Transilvania è ricchissima di leggende in tal senso, alimentate soprattutto dal mistero che ancora oggi circonda il personaggio di Dracula, il celebre Vlad Tepes, eroico condottiero sanguinario che si distinse nella lotta contro i Turchi. Da qui la nascita della figura del vampiro per eccellenza.
La teoria di un origine moderna, mette in relazione la nascita del vampiro con il forte periodo di crisi spirituale collegato con l’Illuminismo. Il suo principale sostenitore è Jean-Claude Aguerre che sottolinea come le difficoltà di interpretare il rapporto uomo-anima e quindi il problema della morte, nel Settecento, avrebbe in qualche modo plasmato la figura di colui che vince la morte con il proprio stesso corpo.


Nel sottotitolo si legge “Il doppio volto della donna: angelo o demone?” rivelando una particolare attenzione alla figura femminile e ad una sessualità che diventa elemento fondamentale …
Partendo dal vampirismo analizzato nei vari suoi aspetti, ho portato in primo piano la figura della donna, messa spesso in disparte dalla società come la vampira lo è stata dal ruolo predominante del vampiro. Le vampire ci appaiono come amanti insoddisfatte o lesbiche: ciò fa pensare che possano essere viste anche a livello sociologico come anormali, sessualmente preponderanti, capaci di plagiare e di controllare la psiche degli uomini con cui vengono in contatto, dominandoli e infine uccidendoli. Esse sono rimaste fedeli ai loro antichi avi: donne di estrema bellezza che seducono le vittime prosciugandole di sangue e di sperma per potersi rigenerare. Intorno al 1900, la donna da angelo del focolare, viene vista come creatura viziosa, strega ammaliatrice e questo perchè riscopre il proprio ruolo di donna, la propria sessualità. Di lei si ha paura perchè capace di irritere l'uomo, di attrarlo irreparabilmente tra le sue spire ed è per questo assimilabile ad una vampira.

Dunque il vampiro non è morto, ma non è nemmeno vivo, ma un non morto che ha incarnato le paure dell’uomo dalla notte dei tempi …
Si tratta di un mito riscontrabile in tutti i tempi in tutto il mondo. Il vampiro è lo spirito di una persona defunta, rianimato dalle forze del male, tornato per tormentare i vivi privandoli del sangue per poter continuare la propria “non vita”. Il folklore assegna gli stessi tratti somatici al vampiro e al ritratto popolare dell'individuo dalla sessualità fuori dal comune. Attraverso i secoli il vampiro muta le sue sembianze da bestia sanguinaria, rozza e primitiva a uomo fascinoso e acculturato che spaventa perché diverso e misterioso ma che allo stesso tempo attrae e seduce.

Mentre nel passato Dracula fu una figura cinematografica soggetta a molte censure perché raffigurava il male assoluto, nei film di oggi gli eredi di Dracula, categoricamente giovani e belli, vivono nei film strazianti storie d’amore con donne umane: sono vampiri umanizzati che non dormono nelle bare, non uccidono gli esseri umani e sopportano la luce del sole: vampiri e umani convivono tranquillamente sui set cinematografici e sui libri, continuando a non morire mai …
Il vampiro è immune ad ogni malattia, possiede una forza eccezionale, è intangibile, inattaccabile, può influenzare gli altri esseri, ma soprattutto sopravvive alla morte, supera una delle massime aspirazioni e una delle massime angosce dell'uomo. L'incognita della morte è affascinante e ripugnante allo stesso tempo. Il vampiro incarna la volontà di sfuggire ed elevarsi dalla massa vivendo un'esistenza eccezionale, impossibile per i comuni mortali. Tutto ciò credo sia alla base della nostra grande attrazione verso questa figura, ormai dai tratti più umanizzati che soffre e ama come noi.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Sin da piccola sono stata attratta da storie macabre e dell'orrore e andando avanti con gli anni ho cercato di approfondire sempre più l'argomento. Leggendo e analizzando i vari racconti e soprattutto quelli dedicati al vampirismo mi sono accorta di quanto poco si parlasse delle donne vampiro: era sempre l'uomo il protagonista delle narrazioni. Così ho cercato di studiarne le cause e rivalutare, in generale, la figura della donna che, attraverso i secoli, spesso ha avuto un ruolo secondario all'interno della società.

Quanto tempo ha dedicato alla realizzazione di questo testo?
Ero diventata un vero topo di biblioteca.......in definitiva un anno. Le ricerche sono state difficoltose, anche se potrebbe apparire strano visto quanto l'argomento sia già stato trattato. Quello a cui cercavo di giungere però era trasmettere l'argomento sotto un differente punto di vista.....


Ci può illustrare la copertina del libro?
La complessità dell'animo femminile: una donna e la sua ambivalente personalità contraddistinta da luci e ombre. Un immagine allo specchio, da sempre simbolo del doppio, portale di passaggio per altri mondi arcani e misteriosi.

Cos’è per lei la scrittura?
Sicuramente un momento di evasione anche se più precisamente amo quello che la precede.....la ricerca.

Scrive di notte o di giorno?
Preferisco la notte, perché riesco ad avere maggiore concentrazione quando tutto è silenzio.

Qual è il suo rapporto con internet?
Buono, amo la ricerca ma anche lo svago che se ne può trarre.

Lei è storica dell’arte e insegnante, in che modo comunica con i suoi allievi?
Cerco innanzitutto di conoscerli, comprenderli e stabilire un rapporto di fiducia reciproca. Non amo stare in “cattedra” e dare loro solo informazioni. Al giorno d'oggi la cultura è molto importante ma lo è anche il rapporto umano. Credo che oltre agli insegnamenti dati dalle proprie famiglie la scuola sia il secondo punto di riferimento per un ragazzo che sta crescendo e che si sta formando.

Da dove ha origine la sua passione per il Gotico?
Mi ha sempre incuriosito ed affascinato il periodo medievale con le sue ambientazioni misteriose, le atmosfere terrorifiche, il tema della possessione demoniaca, del male, delle antiche profezie,i conflitti interiori dei personaggi ambigui, misteriosi, preda di passioni violente o tormentati da pene d'amore.

Una domanda all’apparenza facile per una risposta difficile: chi è Serena Bono?
Questa domanda è davvero la più difficile!
Sono una donna romantica, che vive ogni cosa con passione e sensibilità. Adoro l'amore, la famiglia, il divertimento, viaggiare alla scoperta di cose nuove. Una sognatrice che guarda al futuro e spera sia ricco di prospettive.

Per poter scrivere bisogna leggere, quali sono le sue letture preferite?
Devo ammettere che sono un po' monotematica, oltre alla letteratura di genere noir prediligo i triller, soprattutto quelli storici: tutto ciò che tratta azione e mistero.

Un suo grande desiderio?
Un lavoro soddisfacente e una bella famiglia! Mi piacerebbe poter viaggiare, conoscere nuovi luoghi e nuove culture....

Una dedica …
A tutti i miei futuri lettori, citando un frase tratta dal libro “una vita senza bacio è limitata, è costretta a finire”.....passione, amore....una delle forze più potenti della nostra vita.

Un ringraziamento?
Grazie a te Carina perché mi stai dando l'oppurtunità di farmi conoscere e di far conoscere uno studio che mi ha tanto gratificato e che spero possa essere interessante anche per altri che hanno la mia stessa passione. Grazie ai miei genitori e a mio marito perché mi hanno sempre sostenuto dandomi fiducia anche in questa nuova avventura da scrittrice.

Lei è felice?
Molto.....


Il suo prossimo libro sarà un saggio o un romanzo?
Ho già pronto un altro saggio....misteri e superstizioni.....


Serena Bono è nata a Pescara nel 1977. Si è laureata in Lettere Moderne nel 2003 e specializzata in Storia dell'Arte, Metodologia Gestione e Conservazione del Patrimonio Storico-Artistico nel 2008 presso l'Università di Chieti. Svolge la professione di storica dell'arte e di insegnante. Dalla passione per il Gotico e per le sue oscure ed affascinanti figure nasce Origine e di usione del vampirismo - Il doppio volto della donna: angelo o demone?, la sua prima pubblicazione.

giovedì 15 settembre 2011

Sandro Montalto di Carina Spurio



Sandro Montalto

Intervista di Carina Spurio


Lei è Direttore Editoriale delle Edizioni Joker e dirige svariate riviste culturali e letterarie. In che modo inizia il suo percorso dedicato alla cultura?

Per caso, come spesso succede. Fin da piccolo leggo e scrivo, interessandomi di materie letterarie, artistiche e scientifiche (mi disturbano certi steccati di comodo!). Sinceramente non ricordo i particolari, posso dire che a un certo punto (era il 1995, avevo circa 17 anni) ho iniziato a frequentare incontri, presentazioni e convegni. La mia prima sensazione, peraltro la stessa che ho adesso, è stata quella di uno spettacolo osceno basato sulle reciproche convenienze e su un pollaio di Ego insopprimibili; tutti parlavano di sé, manifestavano scarsa curiosità verso il prossimo e una preparazione spesso approssimativa (e se lo capivo io, che stavo studiando musica e chimica …). Ho isolato le pochissime persone che mi andavano a genio (innanzitutto Roberto Bertoldo, uno scrittore, critico e filosofo che ammiro e la cui lettura suggerisco a tutti), ho iniziato a discutere con loro capendo che molti erano opportunisti (cercavano il giovane da far entrare nella loro “scuola”) e, a seguito di ulteriori scremature, ho iniziato a formarmi scrivendo moltissime recensioni, poi sono iniziate le richieste di prefazioni, di collaborazioni fisse a riviste e a qualche giornale, etc. Ora la maggior parte di quelle persone, con le quali spesso ho fatto litigate anche pubbliche (non mi sopportavano, e non mi sopportano, perché non ero riconducibile a consorterie con le quali fare qualche affare, e dunque ero libero di dire ciò che pensavo, giusto o sbagliato che fosse), si sono perse, siccome senza un gruppo alle spalle la loro vacuità è stata smascherata; altri si sono fatti la lotta fino a soccombere tutti siccome lottavano solo per un posto; altri hanno fatto carriera con l’appoggio della politica. Rimane un gruppo ristrettissimo di autori, anche giovani, che sta facendo una onesta carriera nei giornali, nell’editoria o nell’università. Altri, molti, scrivono con modestia e per necessità la sera, dopo aver magari venduto il pesce o programmato computer tutto il giorno.

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Fa parte della giuria di alcuni premi letterari …

Ho partecipato a molte giurie e alcuni premi li ho co-fondati, o almeno ispirati. Ma non ho mai resistito più di una edizione, siccome ho sempre trovato delle zone poco chiare che ho denunciato. E’ il motivo per cui, non avendo in questi casi prove da esibire, ho preferito limitarmi a lasciare l’incarico – o a lasciarmi allontanare – senza più nominare quei premi. L’unico premio che amo, al momento, e del quale sono oltre che giurato anche co-fondatore e direttore tecnico, nel quale mi trovo benissimo e che dopo due sole edizioni ha già prodotto libri, molti rapporti, incontri etc. è il premio “Torino in Sintesi” dedicato all’aforisma, nato anche e soprattutto grazie alla generosità della Presidente Anna Antolisei. Da esso sta anche scaturendo l’Associazione Italiana per l’Aforisma, che stiamo fondando ufficialmente in questi giorni.

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Oltre ad essere editore lei è anche autore. Ha pubblicato svariati volumi tra i quali saggi sulla poesia contemporanea, aforismi e prosa. Tra le mie mani: L’eclissi della chimera (Edizioni Joker 2005), Crolli emotivi (Lietocolle, Fallopio 2006), Esequie del tempo (Manni, 2006), Monologhi di coppia (Edizioni Joker, 2010). Una breve descrizione per ogni testo?

Mi permetto di correggerla. Io sono un autore, innanzitutto ed essenzialmente; in seconda battuta, per amore della letteratura e per cercare di far emergere una serie di autori bravi senza appoggi, mi sono dedicato alla critica e poi all’editoria. Lavori, peraltro, ingrati, siccome mi sono accorto che agli autori troppo spesso interessa più la grandezza del nome in copertina che non una cura scrupolosa del testo, oppure, in una recensione, preferiscono toni entusiastici a disamine serie ed approfondite. Ecco perché su critica ed editoria oggi mi sto interrogando.
Ho pubblicato fino ad ora 16 libri, e non voglio rubare troppo spazio. In sintesi ho pubblicato tre raccolte di versi intitolate Scribacchino (2000), Esequie del tempo (2006) e Il segno del labirinto (2011). Credo che insieme diano una immagine fedele e abbastanza completa del mio essere poeta. Infatti, si rimpallano molte dei miei nodi fondamentali, risolti e irrisolti, ma con tre toni diversi: nel primo libro andamenti più sperimentali e polemici, nel secondo andamenti più solenni in una forma che tenta di indagare la possibilità del poema oggi, e nel terzo un linguaggio certo aspro, molte volte, ma nel complesso più intimo, lirico, persino quotidiano. Tra l’altro, tutti questi testi sono nati negli stessi anni.
C’è poi il lavoro sugli aforismi (unico libro per ora pubblicato L’eclissi della chimera, 2005), sul teatro (unici lavori per ora pubblicati Monologhi di coppia, 2010, che ha esordito nel 2008 al Piccolo di Milano, e la farsa Ubu furioso, uscito come libro d’arte presso il Collage de ‘Pataphysique di cui sono Reggente; ma molti altri testi stanno girando attualmente per diverse compagnie), più un libro strano, che temevo ed invece è piaciuto abbastanza, costantemente pencolante tra disperazione e comicità: Crolli emotivi (citerei la nuova edizione del 2010).
C’è poi il lavoro critico, sia sul versante della poesia contemporanea (finora raccolto in tre volumi: Compendio di eresia del 2004, e i due volumi Forme concrete della poesia contemporanea e Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea, entrambi del 2008), sia su altri versanti, concretizzato in libri su Umberto Eco, su Edoardo Sanguineti (curato con Tania Lorandi), e due volumi su Samuel Beckett. Ci sono poi plaquette artistiche, antologie di poeti e aforisti e altro, ma il succo è questo.

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Scrive anche di musica, cinema ed enigmistica su riviste specializzate, oltre a dedicarsi all’attività di compositore …

Sì. Come detto non amo gli steccati, che spesso servono a giustificare pigrizia, mancanza di curiosità o ignoranza. Certo io vorrei sapere tutto della matematica, o della chimica, mentre so pochissimo; però appena posso leggo i molti testi di divulgazione scientifica che oggi esistono, fortunatamente spesso fatti molto bene. Uno scrittore non deve precludersi esperienze, purché siano vissute nel profondo e non come infarinature. Lo stesso cerco di fare con l’arte, anche se è purtroppo territorio di parolai e pennivendoli, mondo nel quale ho anche presentato e sostenuto alcuni autori (due nomi tra i tanti Daniela Rizzo e Nadia Boneccher Azzoni). Idem, anche se mi ci sono dedicato poco, per quanto riguarda il cinema (uno dei miei libri è una lettura parallela di Beckett e Buster Keaton, il vero genio del muto), e l’enigmistica/ludolinguistica, amore concretizzatosi in diverse collaborazioni e nella fondazione di una delle riviste che dirigo, intitolata «Cortocircuito». Penso che, in un certo senso, una grande poesia e la pubblicità di uno yogurt, o una dichiarazione d’amore e una di guerra, siano solo diverse combinazioni di lettere, dunque spesso un anagramma ha da insegnarci quanto un distico ritenuto immortale.
La musica invece la studio fin da quando ero bambino, e mi dedico a insegnare un po’, a dirigere alcuni cori e a comporre (con una lentezza e una flagellazione autocritica che definirei esasperanti!).

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Qual è la sua posizione nei confronti dell’ormai controversa questione dell’editoria a pagamento?

In questi anni ho accertato che la quasi totalità degli editori che dice di non far pagare gli autori, invece, lo fa. Lo stesso vale per gli autori che dicono di non averlo mai fatto. Trovo che la cosa non sia controversa, ma solo strumentalizzata. Come ho detto prima non faccio l’editore strictu sensu e me ne infischio di statistiche, marketing etc. Peraltro, mi permetta, io non faccio l’editore bensì il direttore editoriale; penso alla qualità del testi, non al denaro che entra o esce, non mi riguarda. Però ci sono leggi del mercato insopprimibili: poniamo che lei mi proponga un libro di poesia e sa benissimo che venderà 20 copie, e magari mi dice che non ne vuole copie perché non interessa neanche a sua madre (la cosa mi è successa). Ebbene, se lei fosse un editore sosterrebbe per intero le spese? Non credo proprio, a meno di fare 5 libri all’anno, cosa che alcuni fanno … ma senza fare editoria, ossia senza fare libri che abbiano una casa e una visibilità. Dovere dell’editore è aiutare l’autore fornendo un reale servizio di editing, cura grafica, stampa accurata, distribuzione e promozione (tutte voci di spesa che gli autori nemmeno si sognano!), in cambio di un aiuto in termini di acquisto-copie che deve essere ragionevole. Peraltro un autore di copie ha bisogno, no? Poi, certo, c’è sempre qualcuno che non capisce nulla e parla: io ho avuto un autore che mi ha dato dell’incapace perché a un mese dall’uscita del suo libro di poesie il «Corriere della sera» non lo aveva ancora recensito (!), e un altro che aveva firmato per la pubblicazione delle sue poesie in 600 copie, poi voleva citarci perché aveva capito 6000 (!!). Questi non solo non sanno come funzionano i giornali (peraltro poco dopo il Corriere ha parlato di due nostri libri) e quanto tirano Einaudi o Mondadori nelle collane di poesia, cosa grave fino a un certo punto, ma soprattutto, cosa inaccettabile, si credono gli unici al mondo ad avere diritto al 100% delle risorse e delle energie.
Naturalmente, però, un editore anche piccolo deve investire, e noi lo facciamo pubblicando libri molto buoni di poeti in situazioni particolari o giovanissimi, e soprattutto saggi (alcuni dei quali stanno avendo decisamente una buona sorte); per non parlare delle nostre riviste nel quale non devi abbonarti per essere pubblicato, contrariamente a ciò che fanno colleghi anche … illustri.

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In qualità di direttore editoriale, pensa sia ancora possibile puntare a una riscoperta del valore dei contenuti invece che seguire mode e costumi …

In parte ho già risposto. Posso aggiungere che i grandi editori pubblicano un sacco di immondizia, ma sono enormi baracche che spesso costano milioni di euro, danno lavoro a molte persone, ed è comprensibile che debbano tirare avanti. Vorrei solo che distinguessero le diverse cose che pubblicano, dando a tutte la necessaria visibilità. Se voglio Liala, o Camus, devo poterli reperire con uguale facilità, ma anche capire esattamente cosa sto comprando se non conosco i due autori. Se poi questi editori vogliono o devono pubblicare robaccia per fare cassa lo facciano, questo li differenzia da noi; però allo stesso tempo non mandino fuori catalogo ogni anno decine di testi fondamentali come avviene sempre più spesso (anche nel mercato dei dischi, peraltro).

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Attualmente, l’economia attraversa un momento difficile, la carta stampata è in crisi, mentre l’editoria si confronta con le nuove sfide tecnologiche: iPad, smartphone e tablet. Il mercato si evolve, si plasma e con esso gli editori che devono rispondere alla necessità di trasformare i progetti cartacei …

Qualcuno diceva che il “momento di crisi” è la condizione perpetua dell’uomo. Tutti gli allarmismi mi spaventano poco (lavoro in una biblioteca, e so bene che la gente non è vero che non legga, piuttosto compra poco per via dei prezzi folli dei libri), compresi quelli a sfondo elettronico. Penso che le tecnologie non soppianteranno mai il libro (che è uno di quegli oggetti definiti modificabili ma “non migliorabili”, come il cucchiaio), così come penso che gli oggetti non hanno colpe né meriti. Ad esempio avere in formato elettronico gazzette, giornali, manuali che invecchiano subito etc. sarebbe un favore fatto all’ecologia. Ma quando sento che la gente legge meno per colpa della televisione o di internet mi viene l’orticaria: non sarà colpa dell’incapacità di genitori e insegnanti, piuttosto? O dell’abdicazione di critici e intellettuali?

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Quali caratteristiche deve avere un testo per sedurla?

Come detto io faccio una editoria di nicchia, quindi pubblichiamo pochi romanzi e racconti. Ma quei pochi li ho pubblicati per le intrinseche qualità della scrittura, a volte davvero sorprendenti, al di là dell’argomento: abbiamo pubblicato romanzi storici, fantasy (senza tutte le caratteristiche dei fantasy soliti, a mio giudizio noiosissimi e banali), d’amore etc. In qualche caso sono libri che hanno anche venduto un numero di copie decisamente apprezzabile per i nostri livelli. Credo che occorra investire in qualità, e la qualità è data dalla bellezza della scrittura.

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Il titolo e la copertina sono elementi di una strategia di vendita?

Sono un bel gioco, se possibile da giocare con l’autore, ma pensare che siano fondamentali significa arrendersi al mercato più becero (e, comunque, fallire).

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Difendere la cultura nell’Italia di oggi è una sfida o una passione?

Ambedue: la passione, quasi l’unico motore della vita degna di essere vissuta con tutte le sue fatiche e noie, è una sfida alla quotidianità. E’ l’unico modo per investire non solo sul domani, ma anche (e spesso ci vuole più coraggio!) nell’oggi.

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In un presente schizofrenico che impone nuovi canoni di originalità, come vede il futuro dei nuovi talenti?

I canoni basta non farseli imporre. Troppo comodo fare le vittime. Domani come ieri ce la faranno i talenti che cercheranno in sé la propria forza, e non inseguiranno né tradizione né innovazione se si tratta di strategie a tavolino. Puoi avere anche un buon successo, che però dura 5 anni e poi scompari. Bisogna scegliere, io ho fatto le mie scelte e non giudico nessuno da questo punto di vista. Siccome se sono antipatici quelli che inseguono il successo facile, non sono da meno quelli che se ne stanno rintanati e attribuiscono il loro essere sconosciuti a non ben comprensibili complotti.

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Quali sono stati gli autori che l’anno influenzata - ispirata?

I più diversi. Come ogni elenco, il mio sarà parziale e figlio del momento. Limitandomi ovviamente agli scrittori (spesso idee interessanti in campo letterario mi sono venute da un musicista, ad esempio) citerei almeno Borges, Cioran, Beckett, Queneau, Camus, Canetti, Manganelli, Savinio, Dostoevskij… Senza contare la grande tradizione degli umoristi: Swift, Wilde, Jerome, Woodehouse, un certo Campanile, Mosca, Allen, o certi autori anche televisivi come Vianello e Marchesi, o Bergonzoni, o anche umoristi oggi un po’ dimenticati come Carlo Manzoni. E Kafka? Ma ricorda che Kafka leggeva Il processo la sera ai suoi amici, e tutti insieme si facevano delle matte risate?

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Cos’è per lei scrivere; catarsi, momento di riflessione, piacere, narcisismo, ribellione, o altro?

Essenzialmente un esercizio, anche faticoso perché necessita di grande precisione e costanza. Non ho mai creduto all’ispirazione, credo che avesse ragione Edison secondo il quale il genio è 10% ispirazione e 90% traspirazione. Ma un esercizio che non deve essere sterile, a tavolino: piuttosto una sfida fisica, come camminare sulla corda o battere il proprio record di marcia, necessario per concretizzare e dunque capire, guardandoli anche da fuori, gli snodi del nostro essere al mondo. Un esserci che, e questo gli artisti ancora non l’hanno ben capito, è simultaneamente fisico, filosofico, psichico, biologico, civile, storico, chimico, etc. In questo preciso senso credo che la complessità del vivere sia stimolante, ma anche un muro contro il quale dobbiamo necessariamente sbattere ogni giorno.

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Le capita mai di litigare con se stesso?

Sì, ma poi mi calmo andando a fare due passi con un altro me stesso ancora.

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Cosa sta scrivendo attualmente?

Un secondo libro di aforismi, alcune poesie (in particolare sto finendo una raccolta di quartine alla quale tengo molto), alcuni testi teatrali, alcune musiche. Oltre ad alcuni saggi su scrittori, registi e pittori, che spero di poter raccogliere con altri usciti in questi anni in un volume unitario.

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Nasce a Biella. Che tipo di rapporto ha con la sua terra?

Nessuno in particolare: ci sono nato, ci vivo, ci lavoro entrando a contatto con molte persone spesso interessanti (faccio il bibliotecario, come ho detto), ma per varie ragioni praticamente tutto ciò che ho fatto di interessante l’ho fatto fuori dalla mia città. Inoltre vengo da una famiglia che non è radicata qui ma ci arriva da diverse regioni italiane.



SANDRO MONTALTO è Direttore Editoriale delle Edizioni Joker (
www.edizionijoker.com), presso le quali cura in prima persona collane di saggistica, poesia, aforismi e teatro.

Dirige le riviste «La clessidra» (rivista di cultura letteraria) e «Cortocircuito» (semestrale di cultura ludica).

È redattore delle riviste letterarie «Il Segnale» e «Poetry Wave» e consulente per l’Italia della rivista internazionale «Hebenon». Svolge inoltre attività critica su molte altre riviste nazionali e internazionali, tra le quali «Poesia», «Testuale», «Atelier», «Téchne», «Clandestino», «Cultura & Libri», «Bloc notes», «Confini», «Testo», «LN», «La Battana», «Pòiesis», «Pagine», «Alla bottega», «Punto d’incontro», «Golem», «Il Cittadino» e «Poiein»; scrive inoltre su volumi collettanei e su alcuni giornali («Corriere di Como», «Il Domenicale», etc.).

Fa parte della giuria di alcuni premi letterari, ed è giurato e direttore tecnico del premio internazionale di aforistica “Torino in sintesi”.

Queste le sue pubblicazioni in volume:

· Scribacchino, Joker, Novi Ligure 2000 (poesia)
· Compendio di eresia, Joker, Novi Ligure 2004 (saggi sulla poesia contemporanea)
· L’eclissi della chimera, Joker, Novi Ligure 2005 (aforismi)
· Pause nel silenzio, Signum, Bollate 2006 (poesia)
· Crolli emotivi, Lietocolle, Faloppio 2006 (prose; nuova edizione riveduta e accresciuta Cento Autori, Villaricca NA 2010)
· Esequie del tempo, Manni, Lecce 2006 (poesia)
· Beckett e Keaton: il comico e l’angoscia di esistere, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006, con una nota di Paolo Bertinetti (saggio; in corso di stampa negli Stati Uniti)
· Forme concrete della poesia contemporanea, Joker, Novi Ligure 2008 (saggi sulla poesia contemporanea)
· Tradizione e ricerca nella poesia contemporanea, Joker, Novi Ligure 2008 (saggi sulla poesia contemporanea)
· Monologhi di coppia, Joker, Novi Ligure 2010, con prefazione di Paolo Bosisio (teatro)
· Un grosso apostrofo (FUOCOfuochino, Viadana 2010) (prose)
· Lentinsetti Pulcinoelefante, Osnago 2011 (con disegno di Tania Lorandi) (poesia)
· Ubu furioso, Edizioni del “Collage de ‘Pataphysique”, Sovere (BG) 2011 (con illustrazioni di Marco Baj) (teatro)
· Il segno del labirinto, Edizioni La Vita Felice, Milano 2011 (poesia)

Ha curato molti volumi, tra i quali Umberto Eco: l’uomo che sapeva troppo (ETS, Pisa 2009), Fallire ancora, fallire meglio. Percorsi nell’opera di Samuel Beckett (Joker, Novi Ligure 2009) e Temperamento Sanguineti (libro + DVD; Joker, Novi Ligure 2011; con Tania Lorandi).

Ha scritto alcuni testi teatrali. Ha vinto premi per la poesia, per la critica e per il teatro (Premio “Ernesto Calindri” 2008, con la commedia Monologhi di coppia rappresentata nel dicembre 2008 al Piccolo Teatro “Giorgio Strehler” di Milano.

Come musicista, dopo aver studiato pianoforte per molti anni, al momento studia Strumentazione per Banda presso il Conservatorio di Torino, e studia Direzione di Coro e Composizione privatamente. Dirige il coro “100% misto” di Biella. Ha composto musiche per pianoforte, per complessi cameristici, per banda e per coro.

Attivo nel mondo della ‘Patafisica, è Reggente del “Collage de ‘Pataphysique”.

Ha ideato alcuni libri-oggetto tra i quali l’Aforismario da gioco (Edizioni Joker, Novi Ligure 2010).

Ha pubblicato anche diversi scritti di argomento musicale e cinematografico su riviste specializzate («SuonoSonda», «Musicheria», «Costruzioni Psicoanalitiche», «Arts and Artifacts in Movies» etc.).

Svolge la professione di bibliotecario.

venerdì 9 settembre 2011

5^ Edizione Concorso Nazionale “diVerso in Verso” 2011

5^ Edizione Concorso Nazionale “diVerso in Verso” 2011 Comune di Nerito di Crognaleto

Poco dopo lo splendido e suggestivo scenario offerto dal letto del Vomano, fiume dalle verdi acque che riflette la vegetazione lussureggiante, in questo scorcio di natura sulle pendici del Massiccio del Gran Sasso D’Italia, passando per strade di altura, si arriva a Nerito. Ritrovo le meraviglie di un paese dimenticato dal tempo. Scosceso, il piccolo borgo con al centro la chiesa e la sua piazza accoglie calorosamente tutti coloro che sono intervenuti per partecipare all’evento promosso ideato e realizzato dalla bravissima poetessa Carina Spurio. All’interno della chiesa che sembra essere il posto più fresco in quest’ora di metà pomeriggio d’agosto, tra l’agitazione generale, ci accomodiamo nei banchi, tutti assieme, partecipanti, premiati, segnalati, vincitori del concorso, ospiti e semplici curiosi. Si avverte l’ansia per qualche personalità in lieve ritardo, lo stesso sindaco in elegante completo gessato, che apre la manifestazione . All’angolo, nel posto riservato solitamente al coro, a dirigere tutta la scaletta, col suo fare simpatico, solare, ed elettrizzante, la signora Spurio! Intravedo la bellissima presentatrice la signora Maria Rita Piersanti, in rosso, spicca davanti l’altare che si presta come palcoscenico alternativo, dando anche una certa sacralità alla cerimonia. La professionale e mai banale conduzione della presentatrice veterana del concorso, inizia con un saluto ai presenti e con la nomina dei segnalati che per merito e per novizia di intuizioni sono stati elogiati per i loro componimenti. Sono davvero ben diversificati e numerosi, uomini e donne di tutte le età, compositori geniali che incastrando le parole magicamente danno un significato nuovo a temi quali l’amore, il tempo, i mestieri, gli oggetti, le persone, le sensazioni, la natura… Notevole è il livello dei versi narrati dalle sapienti e calde voci di Ilario Lorusso, Cristina Trifoni e Letizia Palumbi. L’interpretazione e l’espressione che sono in grado di trasmettere rende tutto più sensuale. Ospiti graditi che arricchiscono il tono assolutamente culturale dell’incontro, sono gli scrittori Danilo Scastiglia con la sua nuova opera “Mosaico”, una raccolta particolare con toni erotici, Mattia Albani con” Il verso del coniglio. E’ la volta del famosissimo compositore violoncellista di fama internazionale, Enrico Melozzi, originario del teramano, giovane, cordiale e stravagante, onorato di partecipare alla festa ed essere accolto dalla sua gente dopo aver collaborato e conosciuto il maestro Morriconi, dopo aver fatto tanta strada, la gavetta per arrivare al vertice, soddisfatto racconta di se, delle sue esperienze, ricorda che è proprio il teramano la culla dei più grandi talenti della musica. Interessante e divertente è la vena comica che prende corpo nella gestualità e nella voce di Marko Ferrari, passato da Zeling. Anche lui teramano di origine, strappa sorrisi e diverte con le sue battute sui detti della sua terra! Sale sul palco il tanto atteso Dottore in Lettere e Filosofia il pregiatissimo Quirino Iannetti, che scusandosi per il ritardo dovuto ad un fraintendimento dell’orario, legge le motivazioni dei premi speciali catturando ancora una volta l’attenzione dei presenti. Infine si eleggono i vincitori del concorso, che ricevono la targa e l’attestato oltre la raffinatissima antologia, come ricordo di sensazioni di parole in versi, parole speciali che possono entrare a far parte della nostra vita, parole che possiamo far nostre, che sentiamo nel profondo. Fatti i ringraziamenti e le foto di rito, l’ansia è scemata, il clima è gioioso ed inizia il rifresco. Nonostante la chiesa sembrasse non contenere tutte le persone arrivate da ogni parte d’Italia per partecipare all’evento, nonostante l’audio non fosse dei migliori a causa di arrangiamenti dell’ultimo minuto, e nonostante il caldo, vedo solo visi sorridenti. Arriva anche la Banda che con le sue note incisive, dà proprio l’impressione di essere tornati indietro nel tempo, quando ancora si andava alle feste di paese e vedevi drappi e corredi in bella mostra sui davanzali in onore del santo patrono che passava in processione. Nella strada di rimpetto la chiesa, chiusa e riservata ai presenti, c’è il borgo con tavoli e panche proprio di fianco la bottega, e l’odore incalzante delle pennette al ragù si riversa nell’aria. Assaporare quel gustoso piatto all’aria aperta davanti alla roccia maestosa del Gran Sasso che sembra confondersi col cielo è uno spettacolo che davvero non ha prezzo! Scambiare chiacchiere e convenire con chi è stato premiato, con la stessa Carina, con gli artisti con chiunque abbia voglia di rivolgerti la parola, e comunicarsi il piacere di questa bella esperienza, fare domande a tutto tondo vista la curiosità che mi appartiene, è davvero gratificante. E’ stato proprio un indimenticabile pomeriggio, tutto all’insegna della natura, della cultura, del calore popolare, delle belle visioni, dei buoni sapori. E’ stato rivivere situazioni che il tempo non ha trasformato, di cui ci era rimasto solo il miele del ricordo. Grazie Carina e arrivederci alla prossima edizione!


Sandra Legnini