venerdì 2 ottobre 2009

Narciso. Carina Spurio

Unheimlich scriveva Freud, il perturbante, ciò che dovrebbe restare nascosto eppure riaffiora. Di fronte al perturbante l’Io ha due scelte: seguire la via della fascinazione che conduce ad una catabasi o tradurre in arte questo surplus che confonde, è presente e vivo eppure sfugge alla comprensione. Carina Spurio sceglie questa seconda via e fa del verso poetico una necessità, una fuga dall’apnea. Plasma il verso e spalma se stessa nella parola, non fugge, mescola e fa proprio quell’eccesso di vivere che non rende vana l’esperienza poetica.
Il canto assume così un sapore materico: la scrittura ha per Carina Spurio un peso corporeo, un pieno approccio sensoriale, che mischia e si fonde nella rilettura, nello straniamento. Ed ecco Lacca di Garanza che non è revisione ma vera e propria creazione a partire dal colore, ecco Il sapore dell’estasi che già attraverso il titolo conduce per le strade di un ossimoro vissuto senza paura di bruciarsi. Perché la scrittura a piene mani di Carina ha tutta la vita delle farfalle di Montale che si avvicinano alla luce pur sapendo di bruciarsi le ali, perché la poesia non ha nulla delle finzioni di “chi crede che la realtà sia quella che si vede”. Non è questa l’esperienza di chi guarda il polipo ( “sei lui, ti credi te” ) ma quella del mare: “essere vasto e diverso e insieme fisso”, che rigetta sulla spiaggia “le inutile macerie del suo abisso”. E’ l’esperienza del contatto con un marasma di sensazioni che ruotano senza sosta, che non prescinde dal valore del ricordo, dell’appropriazione: “ora sì, posso dire che mi appartieni, che qualcosa tra di noi è accaduto, irrevocabilmente”; è l’esigenza di fermarsi per capire, allontanarsi, prendere tempo in questo eccesso. C’è l’amore in queste pagine di Carina Spurio che non è amore semplice ma quello vasto “che brucia la vita e fa volare il tempo” cui la poetessa non si sottrae, nel quale affonda le mani per trovare colore in un barattolo di vernice pieno, amore che non sia solo “la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’ illude” ma anche quello totalizzante che inizia con l’ascolto, la percezione dell’orecchio musicale, infine, la percezione privilegiata che è poesia. Perché “l’amore aiuta a vivere, a durare”, è cecità della ricerca, ingenuità a prescindere, mistificazione per non sapere. Rifiuto alla resa nel volgersi a “ciò che è in noi oppure non esiste”. Carina Spurio gode del valore della Possibilità, conosce il valore dell’attesa perché ha conosciuto l’assenza: in fondo ha vissuto appieno. Siamo ben oltre una scrittura di compiacimento, ogni parola è scavata nell’anima “come in un abisso”, siamo molto vicini alla poesia di Jenny Mastoraki, ad Eliot, a Neruda. Si è vicini all’aprirsi “alle parole d’amore che non ti ho detto”, all’amare anche quando non si ama perché Carina Spurio sa bene che “la fede è una persona”.
Asteria Casadio

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