di Alessia Mocci
La raccolta di poesie “Narciso” si apre con la lirica omonima per spezzare la linea di confine tra il nostro presente, la nostra vita, e ciò che è dato sapere ai poeti. Un estro antico, tramandato sin dai primordi dei pensieri percepito dalle anime altre, rivive nel versificare dell’autrice del libro Carina Spurio. La Spurio intrattiene un personalissimo rapporto con il figlio di Liriope e Cefiso, uno scavare incessante (“Raccontami di te/…Dimmi/…Parlami…”) verso la verità di ciò che accadde allo sventurato, uno scavare logorato dai misteri del tempo e dai flussi delle acque che rapirono la sua illibata immagine. Non si percepisce una forte contrapposizione tra il presente ed il passato. I versi, nel loro incedere, si riempiono di mattiniera foschia e l’io diviene una benevola controparte dell’altro. Si può sussurrare che la tematica portante della raccolta di poesie è proprio questa illuminata comprensione verso l’altro, il diverso, un profondo interesse da parte della Spurio nei confronti della comunicazione, della trasmissione dell’ istante che ripete ciclicamente il suo mutare da attimo a “senza principio né fine”. La Spurio palesa questa sua presa di posizione anche nella struttura della raccolta, infatti, le liriche si susseguono trascinate da un filo conduttore diatropico, il titolo. Non è stato il caso, né l’ordine alfabetico né l’ordine temporale a determinare l’ubicazione delle liriche nella raccolta. Ci troviamo davanti ad un ingegnoso telaio che racconta una storia parallela ed, allo stesso tempo, obliqua. Leggendo, infatti, i titoli delle liriche, “Narciso”, “Assenze”, “Sequenze”, “Libera”, “SS80”, “Fly On caffè”, “Un attimo”, “Il sapore di un bacio”, “Montagna Madre”, “Tempo”, “Dilemmi”, “L’eterna storia”, “Euritmia cromatica”, “Respiro”, “Selene”, “Petali di pensieri”, “ad Alessandra”, “Il sacro e il profano”, “Nasco da…”, “Sesto senso”, due liriche senza titolo, “Incanto”, una lirica senza titolo, “Ritmo inquieto”, “Lacca di garanza”, “Sogni preziosi”, “Osservando Kandisky”, “Pregno antico”, “Verso il futuro”, “Metafore”, “Noi”, “Percorsi”, “Vocazione”, “Seta”, “Brama”, “Ieri”, scorgiamo una musicalità ed una geometria strutturale e semantica che l’autrice, forse, voleva tenere nascosta così come Narciso, per troppo amore, celò il suo viso agli altri stringendolo solo a se. L’ultima poesia, “Ieri”, (“Ti ho sognato,/ le mie dita fra le tue dita/ nessuna distanza./ In un istante ho immaginato/ di chiedere alle stelle/ di fermare il tempo,/ per allungare l’attimo in cui/ ti avrei dato un nome,/ un colore, un motivo.”) vede l’armonia tra presente e passato, tra tempo ed attimi, tra “io” e “tu”; quasi si può scorgere l’angelica forma del “Narciso” iniziale mentre il sogno diviene realtà e l’“io” intrattiene una conversazione con l’altro, un lucido e circolare procedere verso la Pura Poesia senza il completo estraniamento dalla realtà.
Leggendo diverse recensioni sulla tua nuova raccolta di poesie, ho notato una parola associata al tuo versificare che si ripete: “urgenza”. Sapresti darmi una spiegazione? E’ la chiave di lettura per le tue opere?
“Urgenza”, la parola ricorrentemente associata al mio versificare è “una” delle tante definizioni contenute nella forza tentacolare che assale il poeta e si insinua in ogni angolo del pensare e del vivere. Per questo, penso che il termine “urgenza” non sia l’unica parola-chiave per le mie opere, malgrado scrivere spesso sia una “necessità”. “Necessità” non intende cedere, non può farlo: ne + cedere. “Notwendigkeit” (ciò che non potrebbe essere altrimenti) avrebbe detto Kant se fosse stato in vita. Eppure, non fui preda del fascino di questa inflessibile dea all’inizio. Il mio verso, come hai ben scritto, esplose dal piacere, affidato ad “un lucido e circolare procedere”. La mia prima Poesia nacque dall’ “assenza”, dall’attimo in cui la consequenzialità della sillabe si arrese al gesto mosso dalla privazione. Senza quel vuoto dentro non avrei potuto catturare quel fiato sinistro in cerca di uno spazio. Versai: “Cosa ho se non ti ho?” (da “Noi”). Un verso, una domanda! Avevo racchiuso un istante in un grumo che perse calore prima della finitura. Da quel giorno Poesia fu comunicazione dei sensi, per non costringerli al silenzio affinché il binomio “io/tu” potesse diventare “noi”. Oggi so che Poesia non è una formula. Piu’ che un profitto è una perdita e non si avvale di strumenti logici. Ci sono giorni in cui ancora mi tenta, soprattutto quando proviene dall’immobilità, dal vuoto di me, dalla gioia e dal dolore altrui e come una spettatrice decide di testimoniare. Continua a resistere sgorgando dalla mia mano, mentre labbra serrate conservano il senso deglutito nelle tenebre. “Senza il completo estraniamento dalla realtà” la imprimo nel candido niente, invaso da pericolosi enjambements, innocui come una farsa teatrale e adagiati come le bugie automatiche sul mio fiato e resto a “guardarla” come un atto d’amore che non merita i miei brividi.
La tua raccolta ha una struttura inusuale, infatti, la maggior parte delle poesie sono seguite da un commento critico e stilistico. E’ stata una scelta che muove prettamente dal bisogno di diverso ed originale?
“Narciso” è un’antologia poetica che contiene liriche selezionate dai miei precedenti quattro libri di versi pubblicati nel seguente triennio: 2005 / 2008. Nei capitoli scanditi anno per anno i relativi commenti critici e stilistici sono rimasti invariati, non per un bisogno di originalità o di differenziazione, ma per legittimare quanti avevano collaborato attivamente alla realizzazione del testo.
In foto: Alessia Mocci
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